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dalla francia
Bernard Arnault difende l'intesa sui dazi
Politica e industria in Francia parlano di sottomissione e umiliazione dell'Unione europea. Ma il patron di LVMH approva l’intesa con gli Stati Uniti: “Non perfetta, ma intelligente”. E guarda già ai prossimi obiettivi: vini, liquori e nuovi investimenti in Texas
Parigi. “Non possiamo permetterci di scontrarci con gli Stati Uniti e avventurarci in una guerra commerciale con il mercato principale delle nostre aziende”, aveva detto giovedì scorso Bernard Arnault in un’intervista al Figaro, quando l’accordo sui dazi al 15 per centro per la maggior parte dei beni Ue in ingresso negli Stati Uniti non era ancora stato annunciato. Ieri in un intervento su Les Echos, in controtendenza rispetto al pessimismo diffuso e alle critiche contro la Commissione europea piovute dal mondo politico e industriale d’oltralpe – una “sottomissione”, per il primo ministro François Bayrou, un’“umiliazione”, secondo il Medef, la Confindustria francese – Bernard Arnault, numero uno di Lvmh, il mastodonte del settore del lusso, si è detto piuttosto soddisfatto dell’accordo sui dazi americani alle merci Ue, che non è “perfetto” ma era “necessario” nel contesto attuale. “L’accordo raggiunto tra Unione europea e Stati Uniti suscita critiche (…) tuttavia, in qualità di dirigente di un’azienda europea, voglio ricordare che bisognava evitare una situazione di stallo”, ha scritto Arnault sul giornale di cui è proprietario, prima di aggiungere: “Nel contesto attuale, si tratta di un buon accordo” perché “di fronte a un partner capace di svincolarsi dalle regole esistenti, bisognava resistere, senza provocare una rottura”. Per il miliardario francese, l’accordo è “una dimostrazione di intelligenza” da parte dell’Europa, che sa “difendere i suoi settori strategici”.
L’ottimismo pressoché isolato di Arnault, fino a oggi molto critico verso la Commissione, va letto anche alla luce dei forti legami tra Lvmh e gli Stati Uniti (il gruppo realizza il 25 per cento delle sue vendite negli Stati Uniti), e in particolare tra il magnate francese e il tycoon americano. Proprio in questi giorni, Arnault ha annunciato l’apertura di un nuovo atelier Louis Vuitton vicino a Dallas, in Texas, tra la fine del 2026 e l’inizio del 2027. Si tratta del secondo laboratorio Louis Vuitton sul suolo texano, dopo quello inaugurato nel 2019 a Alvarado. “In primavera, Arnault aveva criticato duramente la Commissione Ue perché minacciava misure di ritorsione contro gli Stati Uniti, di andare allo scontro frontale con Washington. Ma ora che è riuscita a trovare un accordo, senza provocare uno strappo, i toni sono cambiati. Le dichiarazioni distensive di Arnault potrebbero essere legate anche alla sua prossima battaglia: quella per ottenere dazi più bassi o addirittura un’esenzione per vini e liquori, settore chiave per Lvmh”, spiega al Foglio Giorgio Leali, giornalista economico di Politico Europe.
Lvmh ha subìto un calo del 7 per cento del suo fatturato nel settore wine & spirits nel primo semestre 2025. Una flessione che ha coinvolto l’intero gruppo: meno 22 per cento di utili dall’inizio dell’anno. “C’è una negoziazione in corso Ue-Usa per ottenere un’esenzione su vini e liquori. Lo stesso presidente francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato in consiglio dei ministri che l’annuncio dell’accordo è ‘la prima tappa’ e ‘i negoziati continueranno’, sperando quindi che ci sia ancora margine di manovra su vari settori”, dice al Foglio Leali. Mentre regna l’incertezza nel settore dei wine & spirits, c’è chi può tirare un sospiro di sollievo: sono il mondo dell’aeronautica e della farmaceutica, esentati dai dazi. I colossi del beauty come l’Oréal, i cui prodotti in entrata negli Stati Uniti saranno tassati al 15 per cento, sono invece pronti a rilocalizzare una parte della loro produzione per contenere le perdite. La vera inquietudine è nel campo dell’energia. Parigi è particolarmente ostile a una delle clausole aggiuntive inserite nell’accordo, che impegna i 27 paesi Ue ad acquistare gas, uranio per il nucleare e petrolio dagli Stati Uniti per un importo di 750 miliardi di dollari, perché andrebbe a sfavorire il gigante dell’energia, TotalEnergies, fiore all’occhiello dell’industria francese. “La Francia, rispetto a potenze esportatrici come Italia e Germania, ha sempre avuto una visione dell’economia europea meno aperta e più legata all’ideale di autonomia strategica. In un certo senso, è il bad cop della politica commerciale europea”, dice al Foglio Leali. “Questo scontro commerciale, secondo i francesi, dovrebbe essere un motivo in più per capire che l’Europa deve essere sempre meno dipendente dagli Stati Uniti”, aggiunge. E’ quello che ha detto ieri Macron in consiglio dei ministri: “L’Europa non si considera ancora sufficientemente una potenza. Per essere liberi, bisogna essere temuti. Non siamo stati temuti abbastanza”.