Lapresse

In lotta per un intero popolo

Gazelle si batte per suo padre, Jamshid Sharmahd, ucciso dal regime iraniano

David Sayn

Dalla California, la figlia del noto attivista continua la sua battaglia per ottenere giustizia. Non fa sconti ai tiranni ma neanche a un occidente che spesso preferisce distogliere lo sguardo: “Il benessere genera codardia. “E’ significativo che Khomeini sia giunto a Teheran da Parigi, scortato da giornalisti europei. Mentre cominciavano le impiccagioni, c’era chi parlava di ‘nuovo inizio’

Nel luglio del 2020, Jamshid Sharmahd, esule iraniano e noto attivista, fu rapito dal regime islamico. La notizia dell’operazione, condotta a Dubai con estrema sfrontatezza fece il giro del mondo. Dopo anni trascorsi in isolamento, Sharmahd è stato assassinato lo scorso ottobre. Dalla California, sua figlia Gazelle continua a lottare per ottenere giustizia, per lui e per un intero popolo, oppresso – sottolinea – “da una vera e propria forza d’occupazione”.

 

Cosa avrebbe potuto fermare l’esecuzione di suo padre, cittadino tedesco e permanent resident americano? “Sarebbe bastata una sola, tempestiva telefonata degli Stati Uniti”, racconta: “Bloccare i trasferimenti di denaro avrebbe poi messo in ginocchio i suoi torturatori. Con lui è mancato un uomo raro, la cui voce era temuta più di tante azioni diplomatiche. Ma non è finita. Il suo corpo mutilato, consegnato alla Germania, è ancora bloccato a Berlino. Né Washington né le autorità tedesche vogliono aiutarci a riportarlo casa, o ad avviare un’indagine pubblica e approfondita. Anche questo è un banco di prova per capire se e quando le democrazie avranno il coraggio di voltare le spalle agli islamisti, sostenendo invece chi condivide l’amore per la vita, i diritti umani e la libertà”.

Nella dignità del lutto e nella tenacia della sua battaglia si specchia la figura di Antigone. Come l’eroina di Sofocle, Gazelle non fa sconti ai tiranni, ma neanche a un occidente che spesso preferisce distogliere lo sguardo: “Il benessere genera codardia”, afferma: “E’ significativo che Khomeini sia giunto a Teheran da Parigi, scortato da giornalisti europei. Mentre cominciavano le impiccagioni, c’era chi parlava di ‘nuovo inizio’. In tempi più recenti, l’accordo nucleare promosso da Barack Obama ha riversato miliardi nelle mani degli ayatollah, spesi non solo in missili e milizie, ma anche in una sofisticata rete di lobbying”.

 

Secondo Gazelle, la prassi del rapimento è stata, più che contrastata, quasi legittimata: “Si tratta di una strategia lucrativa connaturata al regime e adottata anche dai suoi alleati, come Hamas. D’altro canto, il riscatto diventa spesso un alibi per continuare a stringere accordi con la dittatura, i cui delegati siedono tuttora all’Onu e non davanti alla Corte dell’Aia. Ogni ostaggio dovrebbe essere una priorità, eppure chi rappresenta una vera minaccia per l’apparato clericale al potere difficilmente si salva. Penso all’iraniano-svedese Habib Chaab, a Ruhollah Zam, franco-iraniano, e a mio padre: sequestrati, abbandonati e uccisi. Penso anche ai civili – molti con passaporti di oltre venticinque paesi – rapiti in Israele il 7 ottobre 2023. Quali sforzi ha fatto la comunità internazionale per liberarli?”.

 

A un mese dalla Guerra dei dodici giorni, c’è chi ha definito l’operazione israeliana un’“occasione mancata” per abbattere il regime. “Di fatto”, precisa Gazelle, “la guerra è iniziata quarantasei anni fa, quando gli ayatollah hanno occupato l’intera nazione, infliggendo ed esportando terrore. E non è ancora terminata: non vige alcun cessate il fuoco tra loro e il popolo dell’Iran. Oggi, dopo centinaia di arresti arbitrari, il numero di esecuzioni è salito a tre al giorno. Mentre i leader mondiali tacciono, Israele ha lanciato un forte segnale. Per la prima volta, uno stato sovrano ha colpito gli aguzzini dei più coraggiosi dissidenti del medio oriente. E’ un fatto storico, e l’illusione dell’invincibilità del regime è ormai crollata”.

Qual è, allora, il ruolo della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, su cui rifletteva anche Natan Sharansky – già ministro dell’Interno di Israele – in una recente intervista al Foglio? “In Iran, il silenzio è una strategia di sopravvivenza. I double thinkers sono l’incubo della cupola islamica: costretti a portare una maschera per necessità, ma pronti a strapparsela via al momento giusto. E lo faranno. Dopotutto, l’ayatollahismo non ha nulla a che vedere con la cultura persiana, né con i valori universali di Ciro il Grande. Ecco perché, nonostante decenni di repressione, la maggioranza – per quanto silente – resiste. Tanto che, per combatterla, c’è bisogno di quella forza paramilitare che sono i bassiji”.

Gazelle indossa una spilla appartenuta al padre “come un’armatura e una promessa”. E’ il vessillo di Kaveh, mitologico eroe della Shah-Nameh e simbolo di resistenza. “L’Iran è un leone incatenato”, conclude, “ma il suo destino non verrà deciso a Ginevra o a Washington: saranno i giovani di Teheran, di Ekbatan, di tutte le sue province a tracciarne il cammino futuro.”

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