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le conseguenze dell'aumento dei prezzi
Cosa c'entra il cibo con l'ascesa dell'estrema destra, anche in Giappone
Il caro riso fa vacillare i governi: in Giappone il prezzo record ha contribuito alla sconfitta elettorale della maggioranza. Crisi simili si sono già viste in India, Filippine, Usa e perfino Russia, dove il costo del cibo diventa tema politico centrale
Dopo le cipolle e le uova, adesso è il turno del riso. In Giappone, dove il caro prezzi ha contribuito alla perdita della maggioranza alla Camera alta da parte del governo. Già in India si è coniato da anni il termine “onionomics”: una vera e propria “economia delle cipolle”, dove il prezzo dell’ortaggio può decidere le sorti di un esecutivo, come da noi accade con il costo della benzina. Un allarme simile si era poi registrato nelle Filippine, e negli Stati Uniti l’aumento del prezzo delle uova è stato persino indicato come una delle ragioni del ritorno di Trump. In realtà, da allora i prezzi sono rimasti alti e, con il nuovo presidente, si sono registrati aumenti record anche per miele e carne – e non è ancora scattato l’effetto dei dazi che Trump continua a minacciare contro il resto del mondo. Eppure il tycoon continua a cavalcare il tema, dicendo che agirà contro la California perché – a suo dire – sarebbero le normative locali a tutela delle galline a rendere le frittate un lusso in tutti gli Stati Uniti. Nel 2023 perfino Putin aveva compiuto il gesto assolutamente inedito di scusarsi in diretta tv per un aumento del 46,2 per cento del prezzo delle uova, durante una sessione in cui i cittadini possono porre domande al presidente.
Niente di nuovo sotto il sole, in realtà. La Rivoluzione francese scoppiò anche per la famigerata frase attribuita a Maria Antonietta: “Se non hanno pane, che mangino brioche”. Un’uscita simile è arrivata da Betsy Díaz Velázquez, ministra del Commercio interno di Cuba, che ha detto ai deputati che a Cuba non manca il cibo: i cittadini dovrebbero solo consumare più “crocchette di banana e brodo di pesce”. Anche Kim Jong-il aveva attribuito la carestia in Corea del nord al fatto che la popolazione continuava a pretendere riso invece che patate. Oggi in Giappone il ministro dell’Agricoltura Taku Eto è stato costretto alle dimissioni, dopo che durante un evento di raccolta fondi nella prefettura di Saga ha affermato: “Non compro riso da un po’ perché me ne regalano in grandi quantità i miei sostenitori, potrei quasi iniziare a venderlo”. Tono scherzoso, voleva essere una battuta, ma l’opposizione ha minacciato una mozione di sfiducia, e il tentativo di correggere il tiro spiegando che si riferiva al riso integrale ricevuto in regalo, mentre continuava a comprare riso bianco per la sua famiglia, ha peggiorato la situazione. In un anno il prezzo del cereale simbolo dell’Asia orientale è più che raddoppiato, tra raccolti scarsi, inflazione e un boom della domanda legato anche alla ripresa del turismo. Ovviamente, il sostituto Shinjiro Koizumi si è subito dichiarato come “di fatto il ministro del riso”. Per abbassare i prezzi ha messo in vendita una grossa parte delle riserve che il governo teneva da parte in caso di emergenza, consegnandole direttamente ai supermercati per saltare gli intermediari. Così il prezzo è effettivamente sceso, ma non di molto: da circa 4.100 a 3.500 yen per 5 chili pari a circa 20 euro. Un quarto in più rispetto a una confezione media in Italia. E se è vero che la dieta giapponese si è diversificata – dal 2011 il consumo di pane ha superato quello del riso – il cereale resta un alimento simbolico.
Anche il malcontento per il caro riso ha pesato sulla sconfitta elettorale di domenica. La coalizione di governo, formata dal Partito liberale democratico (che è sceso da 119 a 101 seggi) e dal partito buddhista Komeito (da 27 a 21), si è fermata a 122 seggi su 248. Già lo scorso ottobre aveva perso la maggioranza alla Camera bassa. Fondato nel 1955, il Partito liberale democratico ha governato il Giappone per 66 degli ultimi 70 anni, con le sole eccezioni del 1993-94 e del 2009-2012. Ma è la prima volta che si trova al governo senza maggioranza né alla Camera né al Senato. Regge solo perché l’opposizione è divisa come non mai. Partito democratico costituzionale (centro-sinistra) è sceso da 39 a 38 seggi, mentre il Partito democratico per il popolo (centro-destra) è salito da 10 a 22. Il partito ultraliberista Ishin è sceso da 21 a 19, ma a stupire è stato il boom dell’estrema destra di Sanseito. Considerato xenofobo, misogino e complottista, fondato nel 2020 dal no-vax e antisemita Sohei Kamiya, è passato da uno a ben 15 seggi.

L'editoriale dell'elefantino