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Promesse di Kellogg
Kellogg e Kyiv, Rubio e Lavrov. Le promesse davanti alle sanzioni
“È importate che il generale abbia parlato di cosa è morale”, ci dice la vicepremier del governo ucraino Olga Stefanishyna. Un messaggio forte da portare a Washington
Il generale Keith Kellogg è entrato nell’Amministrazione di Donald Trump come la voce che avrebbe dovuto rassicurare l’Ucraina sull’impegno, anche se non manifesto, del nuovo presidente a non abbandonare Kyiv. E’ presto diventato una voce afona e il suo ruolo di inviato speciale per l’Ucraina e la Russia è stato dimezzato: è andato a Kyiv e mai a Mosca. Al suo posto, a trattare con il Cremlino, è stato mandato il tuttofare Steve Witkoff.
A Witkoff era stato affidato il ruolo di sistemare le questioni mediorientali, per qualche mese si era preso anche l’incarico di incontrare Vladimir Putin, con esiti disastrosi. La Casa Bianca, con i suoi consigli, non ha ottenuto successi sulla disponibilità al cessate il fuoco da parte di Mosca, che invece ha incrementato gli attacchi contro le città ucraine. Witkoff è stato rimandato a occuparsi di medio oriente, Kellogg, sulla carta, rimane l’inviato per l’Ucraina, senza molta voce in capitolo.
Gli Stati Uniti hanno presentato il generale di ottantuno anni come volto americano alla Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina e ieri, per la prima volta, è stato anche il primo americano a prendere parte a una riunione della Coalizione dei volenterosi, composta da Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Polonia. Kellogg si è presentato a Roma lunedì sera pronunciando un discorso inaspettato durante una cena della fondazione Yalta European Strategy. Il generale ha detto: “L’occidente ha l’obbligo di assicurare che il sacrificio dell’Ucraina non sia invano… Quello che sta facendo l’Ucraina è leggendario. Chiedetevi – ha detto diretto a una platea di politici e giornalisti – da quale parte della storia volete stare. Dalla parte morale? La scelta è vostra”. L’Amministrazione americana in maniera confusa ha cambiato il modo di parlare dell’Ucraina, Trump stesso ha smesso di accusare Zelensky per il mancato raggiungimento di un cessate il fuoco e ha promesso nuovi aiuti per proteggere le città ucraine dagli attacchi russi. Sono partite nuove consegne di missili intercettori Patriot, sono stati promessi aiuti più consistenti (sempre ponendo l’accento sul loro valore difensivo), ma non ci sono stati nuovi impegni contro la Russia in materia di sanzioni. L’atteggiamento dell’Amministrazione Trump è cambiato, ma gli ucraini sanno quanto Trump può essere ondivago nei rapporti con Putin e non basta la presenza di Kellogg a Roma, non basta un discorso del generale per assicurare la permanenza di Washington al fianco di Kyiv.
Ieri il segretario di stato americano, Marco Rubio, che come Kellogg non rappresenta la parte Maga dell’Amministrazione contraria al sostegno agli ucraini, ma comunque finora non si è speso per una totale solidarietà a Kyiv mantenendo una posizione ambigua, ha incontrato il suo omologo russo Sergei Lavrov. Alla fine dell’incontro, Rubio ha detto che l’atteggiamento dell’Amministrazione Trump è quello di impegnarsi con tutte le parti e che Lavrov gli ha prospettato una nuova iniziativa per “una nuova idea”. Ha aggiunto che l’Amministrazione Trump sta lavorando con il Congresso per possibili nuove sanzioni. Le sanzioni più di ogni promessa sono per gli ucraini la prima mossa necessaria di Washington contro il Cremlino. L’imposizione di nuove sanzioni è una minaccia, la realizzazione per ora è lontana. Al di là delle lamentele, delle proteste contro “le stronzate” raccontate da Putin, come ha detto Trump, mancano i primi passi concreti di Washington contro il Cremlino.
Ad ascoltare il discorso a braccio di Kellogg c’era anche Olga Stefanishyna, la vicepremier del governo ucraino che ha concluso l’accordo sui minerali con gli Stati Uniti, la cui mediazione è durata mesi ed è stata turbolenta: in un possibile rimpasto che potrebbe concretizzarsi nei prossimi mesi a Kyiv, Stefanishyna potrebbe essere la futura premier, anche in virtù del suo rapporto con Washington. “Per noi è importante quello che Trump dice e come ha sottolineato il presidente Zelensky, la comunicazione diretta è il modo migliore per tenere vivo il sostegno all’Ucraina e aumentare la pressione per ottenere il cessate il fuoco”, ha detto Stefanishyna al Foglio. La vicepremier ha ascoltato Kellogg con attenzione, anche perché qui a Roma è il massimo rappresentante dell’Amministrazione Trump: “La sua presenza è importante ed è stato importante che abbia parlato della causa e della morale. E’ un messaggio forte e questo messaggio va portato a Washington. Adesso noi guardiamo al prossimo passo, Trump ha detto che aumenterà il sostegno alla difesa dell’Ucraina, per noi è vitale”. Gli ucraini sono qui anche per mandare messaggi, lo fanno a occhi aperti, consapevoli anche dei limiti del ruolo di Kellogg, che lunedì mentre improvvisava il suo discorso ha avuto un momento di commozione guardando sua figlia Meaghan, forte e attiva sostenitrice di Kyiv, a volte su posizioni opposte rispetto a quelle del padre.
Oltre alle promesse, gli ucraini aspettano passi concreti e c’è una cosa, dice Stefanishyna, che infastidisce Kyiv, nonostante siano ottimisti riguardo alle prossime mosse del Congresso americano: non si parla di nuovi round di sanzioni e più si rimanda, più i russi ne traggono vantaggio.