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da lisbona

L'ex premier portoghese Sócrates a processo a dieci anni dall'arresto 

Marcello Sacco

Dall'apertura dell’inchiesta nell’estate del 2013 alla prima udienza del 3 luglio scorso: l'ex primo ministro è accusato di riciclaggio, frode fiscale e di aver preso tangenti milionarie per favorire grosse società private. Ma il caso è ben diverso sia da Tangentopoli che dalla vicenda spagnola

Lisbona. Alla fine anche José Sócrates, primo ministro del Portogallo dal 2005 al 2011, ha il suo processo. La prima udienza si è svolta il 3 luglio, ora ci si porta avanti col lavoro prima delle ferie di agosto e schivando gli scioperi dei funzionari giudiziari. C’è poco tempo da perdere per un’inchiesta aperta nell’estate del 2013 e che il 21 novembre 2014 portò all’arresto dell’ex premier, filmato da tutti i tg, mentre rientrava da Parigi, dove si era trasferito dopo la sconfitta alle elezioni del 5 giugno 2011, convocate in seguito alla caduta del suo secondo governo e all’intervento della troika (Fmi-Ue-Bce).
 
Il paese stava provando faticosamente a risanare i conti pubblici e per tutti, ormai, quello era il primo ministro che li aveva condotti alla rovina e veniva ora accusato di corruzione. Ad aumentare il fastidio venne lo stillicidio di notizie: uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità, appartamento di lusso a Parigi, una tesi di master in filosofia pubblicata con prefazione di Lula e divenuta best-seller grazie a una rete di amici e parenti che la compravano a chili (180 copie solo per l’ex suocera). Perfino l’ultima trovata, quella di denunciare lo stato portoghese presso la Corte europea dei diritti umani, con conferenza stampa da Bruxelles, dieci giorni fa, accanto a un avvocato del calibro di Christophe Marchand (noto per aver difeso Assange e Puigdemont), ha spinto qualche opinionista a chiedersi da dove arrivino ancora tanti soldi. Ma a chi gli chiedeva l’origine della sua fortuna Sócrates arrivò a rispondere che i soldi glieli dava la mamma. Il suo stile aggressivo non depone a suo favore, né a favore di un’analisi serena del suo caso. Insulta i giornalisti e attacca i giudici, con cui battibecca  in aula. Gli bruciano i nove mesi di carcere preventivo ingiustificati, visto che una formulazione provvisoria dei capi d’imputazione arrivò solo tre anni dopo.
 
Riassumendo molto, oltre che per riciclaggio e frode fiscale, Sócrates è sotto processo perché avrebbe ricevuto 34 milioni di euro in tangenti per favorire alcune grosse società private come il gruppo finanziario Espírito Santo (la cui banca fallì nel 2014, lasciando uno stuolo di risparmiatori sul lastrico) o il gruppo Lena, titolare di importanti appalti per l’Alta velocità, progetto che il Portogallo dovette sospendere a causa della crisi finanziaria. Un dettaglio importante per capire il caso portoghese è che, a differenza delle note vicende italiane e spagnole, qui non sono coinvolti tesorieri e segretari amministrativi. Cioè, non è in causa il finanziamento dei partiti, la famosa questione dei costi della politica sollevata da Bettino Craxi in piena Tangentopoli. Se saranno appurati i fatti, la vicenda Sócrates apparirà come la storia balzachiana di due amici di provincia (lui e Carlos Santos Silva, suo prestanome secondo l’accusa) scesi dal paesello alla conquista della capitale. Nessuno ha mai voluto o potuto accusare il Partito socialista. E dai toni sprezzanti con cui Sócrates parla ancora di António Costa (gli ha dato del codardo in diretta pochi giorni fa), non è infondato pensare che lo avrebbe già fatto da tempo.

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