
(foto EPA)
Pezeshkian blandisce Trump e usa tutte le parole care ai Maga
Tucker Carlson su Fox News intervista il presidente iraniano: toni concilianti verso il presidente americano e critica a Israele, tra appelli alla pace e parole chiave care al mondo trumpiano come “swamp” e “forever wars”
Con una tempistica che è difficile immaginare casuale, lunedì, quasi in contemporanea all’incontro tra il presidente americano Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex anchorman di Fox News Tucker Carlson ha trasmesso la sua sbandieratissima intervista al presidente iraniano Massoud Pezeshkian. Preceduta da un’excusatio non petita in cui Carlson ha tenuto a precisare di aver perseguito il colloquio solo per offrire un ulteriore strumento informativo agli americani (piuttosto che animato dal desiderio di creare scompiglio nel mondo Maga, pareva il non detto), l’intervista, prevedibile nella sostanza delle argomentazioni presentate da Pezeshkian, si è rivelata interessante per quello che emergeva, in filigrana, dietro alla cura con cui quelle stesse stanche argomentazioni venivano via via formulate. L’Iran è una vittima di Israele è stato il succo del discorso del presidente iraniano; l’Iran non aveva, non ha e non intende dotarsi di un’arma nucleare, una fatwa di Ali Khamenei lo vieta espressamente; l’Iran non conduce guerre da almeno duecento anni, le guerre le ha solo subite dall’Iraq prima e da Israele poi. Ma il soft power di Teheran era tutto nelle parole più pronunciate dal suo presidente – pace e tranquillità – e dall’attenzione con cui Pezeshkian si è impegnato non solo a evitare di criticare Trump, ma quasi a blandirlo. Sì anche il presidente iraniano ha rischiato di essere ucciso da Israele come i comandanti pasdaran e gli scienziati atomici e lui sarebbe stato pronto ad affrontare qualsiasi destino il cielo gli avesse riservato. “Non ho paura di sacrificare la mia vita per difendere il mio paese”, ha sottolineato, ma “loro hanno fallito”. Il “loro” in questione, ha tenuto a precisare Pezeshkian, erano gli israeliani, non è stata colpa degli americani. Perché gli Stati Uniti sono stati trascinati nella guerra dei dodici giorni da Netanyahu, “e la mia proposta è che l’Amministrazione americana eviti di essere coinvolta in guerre che non sono le sue. Questa è la guerra di Netanyahu (…) e gli Stati Uniti farebbero bene a non farsi coinvolgere nei suoi conflitti senza fine”. Durante tutto il corso dell’intervista il traduttore di Pezeshkian ha avuto l’attenzione di calibrare bene ogni espressione e così sono risuonate spesso parole care all’universo Maga come swamp (palude) e forever wars (le famose guerre senza fine che Trump aveva promesso di archiviare). “Il presidente, Mr Trump, sarebbe capace di guidare la regione verso la pace e un futuro prospero, sarebbe in grado di rimettere Israele al suo posto”, oppure, ha proseguito Pezeshkian, “potrebbe scivolare (…) dentro ad una palude. Tocca agli Stati Uniti decidere adesso”.
Anche riguardo all’ipotesi di nuovi negoziati con Washington, pur lasciando trapelare la delusione per l’esito dell’ultimo round, Pezeshkian si è mostrato possibilista, e in generale talmente deciso a stare alla larga dalle provocazioni tanto care alla dirigenza iraniana da non sembrare neanche un peso massimo della Repubblica islamica, al punto che, interrogato sull’abitudine di gridare “morte all’America” e “morte a Israele” nelle piazze di regime, il presidente ha spiegato che trattasi di prese di posizione contro la crudeltà e il bullismo, come a dire: niente di personale. “La pace e la tranquillità, l’Iran cerca solo questo”, ha ripetuto. Niente processi sommari, niente impiccagioni all’alba, niente milizie armate fino ai denti per le strade di Teheran e proxy a seminare la morte in giro per la regione. Un marziano catapultato davanti all’intervista di Carlson direbbe che gli ultimi quarantasei anni sono solo un’allucinazione.