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l'editoriale del direttore

Quello che i critici di Bibi potrebbero riconoscergli, Gaza a parte, quando si parla di medio oriente del futuro

Claudio Cerasa

"Netanyahu ha ridisegnato il volto del medio oriente e ha distrutto Hamas e Hezbollah, togliendo linfa a due tra i regimi terroristici più pericolosi del pianeta", scrive sul Nyt il conservatore David Brooks. In un’epoca in cui molti in occidente sottovalutano le minacce, il leader israeliano ricorda che i nemici vanno presi sul serio, se si vuole davvero evitare conflitti peggiori

David Brooks è un conservatore, scrive sul New York Times, non sopporta Donald Trump, detesta Bibi Netanyahu, soffre quando guarda Gaza, soffre quando osserva Israele commettere delle atrocità e considera però doveroso per chiunque non ami il presidente israeliano, che ieri ha incontrato nuovamente alla Casa Bianca Donald Trump, mettere da parte i propri pregiudizi sul soggetto, mettere da parte anche alcuni giudizi su Gaza, e provare a riconoscere un fatto semplice: anche chi odia quel che sta facendo Bibi dovrebbe trovare il coraggio di ringraziarlo su tutte le cose sulle quali ha perfettamente ragione. Il discorso di Brooks è suggestivo, è importante, è interessante e non riguarda solo ciò che rappresenta Israele nella regione: un presidio di democrazia, un’oasi di libertà, un argine contro gli estremisti che minacciando lo stato ebraico minacciano anche l’occidente intero. No, Brooks fa di più. Fa un passo in avanti e sceglie di posizionare al centro del dibattito un tabù.

Il premier israeliano, dice Brooks, negli ultimi dieci mesi ha perseguito in modo impressionante il suo obiettivo di ridisegnare il volto del medio oriente. Ha distrutto Hamas, ha disintegrato Hezbollah, togliendo linfa a due tra i regimi terroristici più pericolosi del pianeta. Ha mostrato la vulnerabilità della teocrazia iraniana, che costituisce da tempo uno dei principali carburanti del serbatoio dell’estremismo mondiale. Ha contribuito al rovesciamento del regime di Assad in Siria, ha aiutato il legittimo governo libanese a riprendere il controllo della sua terra e ha inferto colpi letali all’asse del terrore che da Teheran arriva a Mosca passando per Pyongyang, ha spinto gli Stati Uniti a utilizzare la deterrenza nei confronti dell’atomica iraniana, e la deterrenza a volte occorre metterla in campo anche con la forza, per evitare con una guerra lampo una più pericolosa guerra futura. Ha ricordato, mettendo il mondo di fronte alla domanda se sia preferibile o no avere un Iran armato di bomba nucleare, quanto l’Iran sia la principale fonte di instabilità del medio oriente. E ha rimesso anche qui al centro del dibattito la possibilità che avere un Iran più simile a quel che era prima del 1979, prima della rivoluzione islamista, possa essere un elemento positivo non per Israele ma per il benessere mondiale.

Il ragionamento di Brooks si conclude con due elementi entrambi cruciali, che meriterebbero di trovare posto anche sui bloc-notes degli odiatori di Bibi, alcuni dei quali a volte hanno anche buoni argomenti per esserlo. Il primo elemento riguarda un fatto prioritario: se il medio oriente diventerà mai un luogo più prospero e pacifico, dice Brooks, lo sarà perché tutti finalmente avranno riconosciuto, in ogni parte del mondo, che chiunque vorrà provare a cancellare Israele dal fiume al mare avrà qualche ostacolo in più rispetto al passato a farlo. Il secondo elemento riguarda un altro fatto altrettanto importante che non ha a che fare solo con Israele. Brooks la mette giù in modo piatto: Netanyahu ci ricorda che i nostri nemici sono davvero i nostri nemici. Tradotto in modo più semplice. Ci sono molte persone in occidente che non riescono a credere che i nostri nemici credano in ciò che dicono di credere. E ci sono molte persone, compresi molti leader politici, convinti che quando un cattivo, un autocrate, un dittatore, un tagliagole, minaccino qualcosa, alla fine quella minaccia non vada presa troppo sul serio, perché si sa che spesso le minacce sono solo evocate, che le parole sono solo chiacchiere, che le intenzioni pericolose a volte restano lì, innocue, solo sulla carta. Non è così. Ce lo insegna l’Iran, ce lo insegna Hamas, ce lo insegna, chilometri più a nord, anche Putin. Prendere sul serio i nostri nemici è il modo migliore per prevenirli. A condizione che si abbia chiaro chi sono gli amici e chi sono i nemici. E a condizione di sapere, di fronte al terrore, qual è la parte giusta dove stare, anche a costo, a volte, di dover dare ragione a chi si detesta.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.