Il terzo incomodo. Da Roosevelt a Musk, storia della sfida ai due partiti

Maurizio Stefanini

Musk rilancia il sogno di un’alternativa al bipartitismo e pure Trump è stato affiliato al Reform Party. Ma il sistema americano ha sempre arginato i tentativi di rottura. Dai "Progressisti" di inizio ’900 all'American Indipendent Party fino al populismo digitale. Una cronistoria

“Volete un nuovo partito politico e lo avrete. Quando si tratta di mandare in bancarotta il nostro Paese con sprechi e corruzione, viviamo in un sistema monopartitico, non in una democrazia. Oggi, l'America Party è nato per restituirvi la libertà”. Così ha annunciato Elon Musk su X, dopo che nel Giorno dell'Indipendenza aveva lanciato un sondaggio online per chiedere agli americani se volessero “l'indipendenza” da un sistema a due partiti. Il 65 per cento gli aveva risposto di sì, il 35 per cento di no. “Andresti espulso” è tornato a minacciarlo Steve Bannon, già suo rivale nel ruolo di ideologo di Trump, alludendo alle sue origini sudafricane. “Ridicolo lanciare un terzo partito Usa” è stata invece la risposta di Trump, che però tra 1999 e 2001 era stato a sua volta affiliato a un terzo partito: il Reform Party fondato nel 1995 dal miliardario Ross Perot, dopo la sua partecipazione alle elezioni presidenziali del 1992, e che nel 1998 era riuscito a far eleggere il wrestler Jesse Ventura come governatore del Minnesota. Dal 1964 al 1987 Trump era stato invece democratico, dal 1987 al 1999 repubblicano, dal 2001 al 2009 sarebbe tornato democratico, per poi tornare repubblicano fino al 2011, indipendente dal 2011 al 2012, e definitivamente repubblicano, in seguito.

Gli Stati Uniti sono fortemente identificati con il bipartitismo democratici-repubblicani, che però si afferma in pratica dopo la guerra civile. All'inizio il primo bipartitismo fu quello tra i federalisti e i democratici repubblicani. I primi, con ideologo Alexander Hamilton, crearono il sistema federale al posto della debole Confederazione dei primi anni dopo l'indipendenza, ed espressero i primi due presidenti: George Washington e John Adams, che però dopo il primo mandato nel 1800 non fu rieletto. Viene allora eletto Thomas Jefferson, leader e ideologo di un Partito Democratico Repubblicano che invece difende i diritti degli stati. I federalisti non riuscirono più a tornare al potere, nel 1820 addirittura il democratico repubblicano James Monroe è eletto senza avversari, nel 1824 tutti e quattro candidati sono espressione di correnti dei democratici repubblicani, e nel 1828 il Partito Federalista si scioglie, mentre il Partito Democratico Repubblicano assume il semplice nome di Partito Democratico.

Dopo che pure nel 1828 e nel 1832 si sono affrontati i candidati di due fazioni democratiche nel 1833 è creato un Partito Whig che appunto si oppone al predominio dei democratici, nel 1836 presenta due candidati presidenziali e nel 1840 elegge in William Henry Harrison il primo dei suoi quattro presidenti. Inizia per la prima volta una vera alternanza, dal momento che nel 1844 è eletto un democratico, nel 1848 un whig, nel 1852 un democratico. Ma nel 1854 è costituito il Partito Repubblicano, con una esplicita posizione anti-schiavista. Nel 1856 il democratico James Buchanan è eletto con il 45,3 per cento dei voti popolari e 174 Grandi Elettori, contro i 33,1 e 114 Grandi Elettori del repubblicano John Frémont e il 21,5 e 8 Grandi Elettori di Millard Fillmore – ultimo presidente Whig tra 1850 e 1853. E nel 1860 il repubblicano Abraham Lincoln vince con il 39,7 per cento del voto popolare e 180 Grandi Elettori in una corsa a quattro con il democratico del Sud John C. Breckinridge (14,4 e 72), il Whig ma ora con la etichetta Unione Costiuzionale John Bell (12,6 e 39) e il democratico del Nord Stephen A. Douglas (21,5 e 12).

Ne segue la Guerra Civile, dopo la quale il bipartitismo democratici-repubblicani si assesta, ma con varie fasi. In pratica, come contraccolpo per la Guerra Civile i repubblicani diventano il partito dominante fino alla Grande Crisi del 1929 e alla elezione di Franklin Delano Roosevelt, nel 1932. In questi 72 anni, solo in 16 ci sono presidenti democratici. Ed è appunto in queste eccezioni che si inserisce il discorso del terzo partito. Nel 1884, in particolare, il democratico Grover Cleveland, governatore di New York, riuscì a essere eletto grazie all'appoggio di un gruppo di repubblicani in rotta contro le accuse di corruzione del loro partito: i cosiddetti “Mugwumps” (= Grandi Capi in dialetto algonchino). Nel 1888 perse, contro il repubblicano Benjamin Harrison. Ma nel 1892 saltò fuori James B. Weaver: un ex-repubblicano che correva con l'etichetta di un Partito Populista cresciuto tra gli agricoltori del West, e che si opponeva in particolare all'ancoraggio del dollaro all'oro in favore di una proposta di bimetallismo anche basato sull'argento, con argomentazioni che potrebbero vagamente evocare i No Euro di oggi. Prese l'8,6 per cento e vinse in cinque stati appunto dell'Ovest: Kansas, Colorado, North Dakota, Idaho e Nevada. Con 22 Grandi Elettori, permise così la rivincita di Cleveland su Harrison: 46 per cento contro 43, e 277 Grandi Elettori contro 155.

Fu l'unica volta che un presidente sconfitto sia tornato alla presidenza, prima di Trump. E fu anche la prima delle cinque volte che il candidato di un terzo partito vinse stati alle presidenziali dopo la Guerra Civile. La seconda volta fu nel 1912 con Theodore Roosevelt, che tra 1901 e 1909 era stato presidente repubblicano. Ma aveva avuto una linea che affiancava a un espansionismo in campo internazionale un progressismo in campo interno: in particolare con la legislazione anti-trust. Accusando il suo successore William Howard Taft di essere invece asservito al grande capitale, decise di tornare in campo appunto con una etichetta di Partito Progressista, con cui ottenne il 27,4 per cento del voto popolare e sei stati, con 88 Grandi Elettori. Fu l'unica volta dai tempi della Guerra Civile in cui un terzo partito arrivò secondo, visto che Taft ebbe solo il 23,2 per cento del voto popolare e due stati, con 8 grandi elettori. Ma così vinse il democratico Woodrow Wilson, con il 41,8 e 435 Grandi Elettori. Seconda eccezione democratica al predominio repubblicano del 1861-1933, fu confermato nel 1916 come il presidente che aveva tenuto gli Stati Uniti fuori dalla Prima Guerra Mondiale; salvo l'anno dopo entrarvi.

Con la stessa etichetta di Progressista pur non avendo all'epoca appoggiato Theodore Roosevelt, e alleato con sinistre e sindacati, nel 1928 Robert La Follette prese il 16,6% e vinse nel suo stato, il Wisconsin. Poi, dopo il 1932, inizia un'epoca di predominio democratico in pratica durata fino al XXI secolo, anche se spesso con presidenti repubblicani accanto a camere democratiche. Ma con Roosevelt viene allo scoperto la contraddizione di un Partito Democratico che in campo nazionale prendendo il voto di operai di recente immigrazione nell'epoca del predominio repubblicano aveva acquisito una immagine di sinistra, ma nel Vecchio Sud restava il partito sudista della segregazione razziale. Nel 1948 fu appunto Strom Thurmond, espressione di questa rivolta dei democratici del Sud, a vincere in quattro stati con 39 Grandi Elettori, anche se solo con il 2,4 per cento del voto popolare, con l'etichetta “Diritti degli stati”. Pure un democratico sudista anti diritti civili era George Wallace, quattro volte governatore dell'Alabama, che come American Indipendent Party prese nel 1968 il 13,5 per cento e quattro Stati, e 36 Gran Elettori. Una concorrenza decisiva per far perdere il democratico Hubert Humphrey, 42,7 per cento del voto popolare e 191 Grandi Elettori, contro il repubblicano Richard Nixon, 43,4 e 301.

Più di recente il già citato miliardario Henry Ross Perot in qualche modo un anticipatore del trumpismo, nel 1992 prese il 18,9%, contribuendo a far vincere Clinton su Bush, e nel 1996 l'8,4, contribuendo di nuovo a far vincere Clinton. Ma non vinse Stati. Più ampia sarebbe la casistica sui risultati locali, per cui ad esempio a inizio XX secolo anche i socialisti americani ebbero diversi eletti. Più d recente, a parte il già citato Jess Ventura nel 2013 ci fu Billy Walker, eletto governatore in Alaska come indipendente.