
Ansa
negli Stati Uniti
C'è un caso del 1970 utile a Musk per rendere fastidioso il suo partito
Da decenni i piccoli partiti che hanno provato a scalzare il dominio di democratici e repubblicani si scontrano con la difficoltà di registrarsi in molti stati. Il caso di James L. Buckley, che, a sorpresa conquistò il seggio da senatore di New York per il Conservative Party
Può essere un’avventura estiva, destinata a evaporare presto. Oppure potrebbe essere il virus che comincia a mettere in crisi le difese immunitarie del movimento Maga (Make America Great Again), aprendo una nuova fase per i repubblicani. L’America Party annunciato da Elon Musk per ora sembra velleitario, ma non è del tutto da escludere che possa ottenere lo scopo che ha in mente il suo promotore: far saltare gli equilibri nelle elezioni di midterm del 2026, che vedranno rinnovare interamente la Camera e cambiare un terzo dei senatori. Sarà il grande test sulla tenuta della seconda Amministrazione Trump e l’imprenditore che ha investito 250 milioni di dollari per rimandare The Donald alla Casa Bianca intende fare di tutto per complicare la vita al presidente e all’establishment Maga, che adesso lo hanno cacciato da Washington.
Forse però la complessità dell’impresa in cui si è infilato Musk sfugge anche al suo promotore. Reinventare l’industria spaziale, creare da zero il brand di auto elettriche di maggior successo al mondo e trasformare Twitter in X sono state tre passeggiate, rispetto all’idea di costruire un’alternativa politica a democratici e repubblicani. Quell’inafferrabile “Third Party” che è sempre stato un’illusione dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi. Le sfide impossibili sono quelle che più affascinano Musk, ma è probabilmente più facile portare su Marte un astronauta, che mandare al Congresso un senatore del Kentucky non affiliato ai due principali partiti.
Gli esempi che vengono più citati da quando Musk ha annunciato le proprie intenzioni riguardano le campagne presidenziali del passato. Ma non è il paragone giusto. È vero che i candidati “terzi” alla Casa Bianca hanno avuto talvolta effetti destabilizzanti, come nel caso più celebre, quello di Ross Perot che si infilò nel mezzo alla sfida del 1992 tra George H.W. Bush e Bill Clinton e riuscì a raccogliere un consenso sufficiente a farlo partecipare ai dibattiti presidenziali. Sia Perot, sia anni dopo Ralph Nader, un eterno candidato esterno ai due partiti, hanno avuto un qualche lieve effetto nel danneggiare uno dei due candidati mainstream. Ma non hanno cambiato la sostanza della competizione a due, così come non la cambiò nel 1968 George Wallace, quando riuscì nell’impresa di conquistare cinque stati del sud con il suo American Independent Party. La realtà è che la strada per la Casa Bianca è sbarrata per le terze parti, come si è visto di recente anche con la candidatura esterna di Robert J. Kennedy Jr., finita con un’alleanza con Trump e un posto da ministro.
Musk però non punta alle presidenziali, che gli sono precluse dalla Costituzione essendo nato all’estero. Il suo obiettivo è in apparenza meno ambizioso. Il ceo di Tesla ha detto di mirare a infiltrarsi e vincere in due o tre campagne decisive per il Senato e a far eleggere otto-dieci deputati, quanto basta per diventare l’ago della bilancia in uno scenario in cui i repubblicani hanno in entrambe le camere maggioranze risicate. Ma anche così, la montagna da scalare è enorme e finora ha visto solo rarissimi casi di successo tra chi ha cercato un percorso da indipendente. Fin dalla fondazione il sistema elettorale degli Stati Uniti scoraggia il proliferare di partiti. George Washington aveva messo in guardia contro i rischi di tenuta della democrazia che a suo dire si aprivano con più di due partiti e James Madison teorizzava che non fosse possibile mantenere la repubblica se si andava oltre i due schieramenti. La legge elettorale è da sempre pensata in questa ottica, con il suo sistema maggioritario a turno unico in collegi uninominali dove chi vince il cinquanta per cento dei voti più uno si prende tutto. Da decenni poi i piccoli partiti che hanno provato a scalzare il dominio di democratici e repubblicani si scontrano con la difficoltà di registrarsi in molti stati (ognuno ha le sue procedure), con le regole della Federal Election Commission e con la raccolta di fondi elettorali, che è collegata a meccanismi e presenza sul territorio strettamente controllati dalle macchine dei due partiti.
Al Congresso ci sono attualmente un paio di senatori non affiliati, Angus King del Maine e Bernie Sanders del Vermont, che per quanto ostentino la loro indipendenza sono in realtà parte integrante dei democratici. Come dimostra peraltro il fatto che Sanders è stato anche in corsa per la nomination alla Casa Bianca nel partito di Hillary Clinton e Joe Biden. L’ispirazione a cui deve guardare Musk è invece lontana nel tempo. Per trovare un membro del Congresso veramente sganciato dai due partiti principali, bisogna andare al 1970, quando James L. Buckley (fratello del più celebre William F. Buckley, icona dei conservatori e fondatore della National Review) a sorpresa conquistò un seggio da senatore di New York correndo per il Conservative Party. Prima di lui c’era riuscito Robert LaFollette del Wisconsin con la bandiera del Progressive Party fondato da Theodore Roosevelt, ma era il 1940.
Il partito conservatore di Buckley, più che le velleità indipendentiste del primo Roosevelt o di George Wallace, è probabilmente il miglior esempio a cui può rifarsi Musk. Per fare cosa? Per agire con gli effetti di un virus nell’organismo del movimento Maga, andando a caccia di consensi ed elettori con una ricetta diversa da quella trumpiana. Il 63 per cento degli americani dice di non gradire l’aumento di tre trilioni del debito pubblico portato dalla legge di bilancio di Trump. Così come molti, anche tra gli elettori repubblicani, mostrano insofferenza per la politica dura sull’immigrazione. Sono due temi su cui Musk promette un’altra direzione e potrebbe farlo finanziando e sostenendo deputati dissidenti come Thomas Massie in Kentucky e candidati libertari in stati che mostrano collegi in bilico: ce ne sono due a testa in Arizona e Pennsylvania e altri conquistabili in Wisconsin, Michigan, Colorado. La presenza di un terzo partito in queste competizioni non significa necessariamente che verranno eletti candidati di Musk, ma potrebbero creare le condizioni per far perdere i repubblicani. Ad applaudire e ringraziare l’America Party, alla fine, potrebbero essere i democratici.