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la sfida
Mamdani, l'ex rapper che sfida l'establishment dem a New York
La sua campagna è supportata dalle microdonazioni di molti giovani, e gli ultimi sondaggi lo accreditano al 23 per cento dei voti. Un risultato ancora non sufficiente per battere Andrew Cuomo, che cerca la sua personale rivincita
La prima persona che mi ha parlato di Zohran Mamdani è stato mio figlio Ignazio, il quale mi ha mandato un suo video, dicendomi di aver trovato finalmente un politico che parla con chiarezza, coraggio e la volontà di cambiare un establishment corrotto nelle fondamenta. Ignazio, ventinovenne, ha votato Kamala Harris alle elezioni presidenziali turandosi il naso: la sua candidata era Elizabeth Warren, e ritiene che Kamala, Joe Biden e Obama siano parte di un sistema irriformabile. Evito di aggiungere cosa pensa di Hillary e Bill Clinton. Vedendo il filmato ho scoperto che Zohran Mamdani è intelligente, efficace e lo conosco da quando era piccolo, dal momento che è il figlio di Mira Nair, amica di vecchia data, e di Mahmood Mamdami, docente di studi postcoloniali alla Columbia. Ho cercato quindi di capire cosa ha portato il bambino silenzioso che veniva a giocare a casa a candidarsi sindaco di New York con un programma radicale. Prima di diventare consigliere comunale è stato tra i fondatori di Students for Justice in Palestine, poi si è impegnato per difendere gli inquilini ingiustamente sfrattati, specie se per pregiudizi razziali. Il tutto mentre componeva musica rap, ottenendo anche un discreto successo con il singolo Nani. Ma proprio in quel periodo ha capito che gli unici autentici cambiamenti possono avvenire attraverso la politica e ha sfidato l’establishment democratico: gli ultimi sondaggi delle primarie lo accreditano al 23 per cento dei voti, un risultato non sufficiente per battere Andrew Cuomo, a cui andrebbe un 10 per cento in più di preferenze.
Nei dibattiti televisivi l’ha ripetutamente messo in difficoltà, ricordando che molti dei finanziatori della sua campagna sono gli stessi che hanno appoggiato Trump alle presidenziali. Cuomo ha cercato di replicare dicendo che Zohran ha attaccato ripetutamente Obama, sottovalutando che per i suoi elettori questo non rappresenta un male. Grazie all’apporto di molti miliardari di area liberal, l’ex governatore surclassa l’ex rapper nei finanziamenti, ma Zohran è riuscito a coinvolgere migliaia di giovani che si sono autotassati con micro-donazioni, e ripete che la sua campagna è basata sulla volontà di cambiare tutto quanto c’è di corrotto in città che ha bisogno di voltare pagina. Cuomo cerca la sua rivincita dopo esser stato costretto alle dimissioni per una vicenda di #MeToo dal quale è stato in parte scagionato, e vuole utilizzare New York come trampolino di lancio per le prossime presidenziali. In una delle audizioni relative allo scandalo, si difese dicendo che da italiano è per lui normale usare qualche carezza e galanteria di troppo nei confronti delle sue collaboratrici: manna dal cielo per i comici, ma alla fine ha vinto lui.
Entrambi si dichiarano il peggior incubo di Trump, ma Zohran aggiunge che lui è anche musulmano. Nel frattempo Eric Adams, sindaco in carica, travolto a sua volta da scandali di corruzione, si candiderà come indipendente, cercando il voto dei repubblicani dopo aver agevolato Trump nelle sue vicende giudiziarie. Nulla di nuovo per New York: Mike Bloomberg è stato democratico, indipendente e poi repubblicano. E’ una delle tante cose che disgustano Zohran, che cerca di evitare il populismo e attacca con filmati sempre più aggressivi. Nulla di paragonabile però allo slogan che il giovane Cuomo ideò per le primarie del padre Mario contro Ed Koch, il quale non aveva mai resa pubblica la propria omosessualità: “Vote Cuomo, not the homo”.



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