
(foto EPA)
editoriali
La reazione calma dei mercati
Tra minacce atomiche e di crisi petrolifere, le borse vedono stabilizzazione
Trump ha fatto più danni sui mercati finanziari con i dazi che con le bombe. Ovviamente tutto può ancora accadere, e il blocco dello stretto di Hormuz resta l’incognita più temuta dagli investitori, ma il bilancio del primo giorno delle borse mondiali dopo il fine settimana che ha segnato l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto contro l’Iran al fianco di Israele è stata contenuta rispetto a choc geopolitici del passato. I listini europei, compresa Piazza Affari, hanno tutti fatto registrare cali inferiori al’1 per cento mentre Wall Street ha aperto piatta. La ragione, come dice al Foglio Lorenzo Codogno, è che se alla fine Trump dovesse ottenere come risultato una stabilizzazione dell’area mediorientale, seppure con l’uso della forza e fuori da un quadro di regole internazionali, gli investitori lo vedrebbero come una svolta positiva. E’ come se i mercati fossero disposti a sopportare possibili turbolenze di breve periodo per arrivare a una maggiore stabilità di lungo termine dopo decenni di tensioni geopolitiche generate soprattutto dalla minaccia nucleare. Una sorta di realpolitik degli investitori: anche se l’attacco militare non è certamente preferito al negoziato, l’obiettivo di una stabilizzazione della regione potrebbe divenire più raggiungibile.
Durerà? Secondo l’economista, che pure dice di credere nell’idea che gli Stati Uniti non possano mirare al regime change in Iran, bisogna tenere d’occhio alcuni fattori per comprendere se la situazione possa evolversi in modo tale da provocare danni ai mercati finanziari e all’economia globale. Tra questi, il rischio di un conflitto nucleare al di là della propaganda delle parti, il traballante sostegno interno a Donald Trump e la reale forza di reazione dell’Iran che minaccia di bloccare lo Stretto di Hormuz ostacolando il transito di petrolio e gas. Un’eventualità che, come ha avvertito la presidente della Bce, Christine Lagarde, comporterebbe nuovi rischi per l’inflazione in area euro. Ma quella degli ayatollah è una minaccia a cui i mercati, per ora, non credono.



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