Andrew Cuomo, a sinistra, stringe la mano a Zohran Mamdani (Foto di Yuki Iwamura-Pool/Getty Images) 

Tra Cuomo e Mamdani si decide come farà opposizione il Partito democratico americano

Marco Arvati

Alle primarie per decretare il candidato sindaco di New York si sfidano l’ex governatore, dimessosi dopo accuse di molestie da cui si è sempre dichiarato innocente, e un giovane consigliere musulmano. Ma la gara è anche un interessante termometro per riflettere su quale tipo di opposizione al trumpismo avrà più presa sui cittadini

Domani si decideranno le primarie democratiche per decretare il candidato sindaco di New York, una sfida che vede comparire sulla scheda ben undici candidati, e che, a meno di grosse sorprese, decreterà il successore di Eric Adams alla guida della città. La sfida sembra essersi ridotta a due candidati: l’ex governatore dello stato, Andrew Cuomo, dimessosi dalla carica nel 2021 dopo molteplici accuse di molestie sessuali da cui si è sempre dichiarato innocente, e il giovane consigliere comunale Zohran Mamdani.

Nato in Uganda da genitori indiani, con cui si è trasferito a New York all’età di sette anni, Mamdani ha impostato una campagna giovane ed energica, che vuole cambiare radicalmente il messaggio del Partito democratico in questi primi mesi di presidenza Trump. In una città in cui il costo della vita è uno dei temi principali della campagna, Mamdani si dichiara apertamente “socialista” e ha proposto un tetto al prezzo degli affitti e la costruzione di 200.000 nuove unità abitative in 10 anni, insieme alla totale gratuità degli autobus. Per finanziare questo programma, vorrebbe aumentare le aliquote fiscali per le grandi aziende, e ha ottenuto l’appoggio di Alexandria Ocasio Cortez e Bernie Sanders.

Durante la campagna elettorale sono emerse due evidenti criticità nella candidatura di Mamdani. In primo luogo, la sua esperienza politica ammonta solo a due legislature al Consiglio comunale, senza nemmeno aver passato importanti progetti di legge in questo breve periodo di tempo. Nell’articolo della redazione che avrebbe dovuto decretare l’endorsement per uno dei candidati, il New York Times ha posto proprio l’inesperienza come motivazione principale per non votare Mamdani, citando “una piattaforma socialista che non funziona e la mancanza di saggezza politica”. Il giornale, nonostante ai tempi fosse stato tra i primi a chiedere le dimissioni di Cuomo per via delle accuse di molestie che stava ricevendo, ha tiepidamente ammesso di preferire proprio quest’ultimo alla guida della città, “nonostante le evidenti criticità etiche”.

La seconda criticità, che è stata centrale per tutta la campagna elettorale, è la posizione di Mamdani, che è musulmano, sul conflitto israelo-palestinese. In una città che ospita la più grande comunità ebraica al di fuori di Israele, Mamdani ha più volte richiesto che gli Stati Uniti smettessero di finanziare Israele, ha difeso l’utilizzo del termine “genocidio” per quanto concerne le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza, e si è rifiutato di condannare lo slogan “globalizzare l’intifada”, considerato dai palestinesi una frase di liberazione, mentre per molti ebrei un inno alla violenza contro di loro. Cuomo, di contro, si è definito senza dubbi dalla parte di Israele, arrivando anche a proporre di difendere personalmente il primo ministro Netanyahu in caso di processo di fronte alla Corte penale internazionale. Questo gli ha garantito il supporto della maggioranza relativa degli ebrei newyorkesi, il 26 per cento secondo un sondaggio di Marist Poll, ma anche critiche, esposte da un altro candidato, Brad Lander, di religione ebraica, di utilizzare l’antisemitismo per convenienza elettorale. Una posizione riflessa nel fatto che, nonostante le accuse, Mamdani avrebbe il 14 per cento dei consensi tra gli ebrei newyorkesi.

Il tipo di cittadino a cui i due candidati guardano per ottenere gli ultimi voti è molto diverso. Mamdani è in vantaggio con i giovani bianchi molto istruiti e con la comunità asiatica; inoltre, sta cercando di portare a votare i cittadini di religione islamica, dato che all’ultima tornata solo il 12 per cento dei registrati al voto si è presentato alle urne. Cuomo, di contro, cerca di replicare la coalizione di elettori che ha portato alla vittoria Eric Adams quattro anni fa: è infatti in forte vantaggio tra gli afroamericani e ha un lieve vantaggio tra i latini, oltre all’appoggio dei cittadini più anziani e moderati. Se il partito democratico è sempre più indeciso su che strada prendere nell’opposizione a Trump, testimoniato anche dalle molte liti interne nell’establishment nazionale, queste primarie possono rappresentare un interessante termometro per riflettere su quale tipo di opposizione potrà avere una maggiore presa sui cittadini.