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Le nostre bandiere. L'intervento del filosofo ucraino Costantin Sigov

Costantin Sigov

Da dieci anni, in Ucraina sventoliamo il vessillo europeo e restiamo sorpresi dallo stupore dell’occidente nel constatare la nostra fiducia verso un progetto che lì si considera quasi fallito

Pubblichiamo l’intervento del filosofo ucraino Costantin Sigov alla scuola di formazione della Fondazione Costruiamo il futuro tenuto a Milano lo scorso 6 aprile 2025


 

Sono nato a Kyiv. Dopo molti anni di insegnamento, soprattutto in Ucraina e a Parigi, ho imparato, all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, quanto sia importante rispondere alla domanda: da dove parli? Il 24 febbraio 2022 è stato un momento cruciale per la nostra città, il nostro paese, l’Europa e il mondo intero. L’Ucraina continua a lottare per la propria libertà e per la protezione del proprio cielo. Dopo la caduta del Muro di Berlino, sembrava che tutte le libertà conquistate fossero ormai definitivamente acquisite dagli europei. Avevamo quasi dimenticato il prezzo della libertà e dell’apertura. Ci sembravano tanto naturali quanto il cielo che si vedeva attraverso le grandi vetrate degli aeroporti di Kyiv.  Dal 24 febbraio 2022, tutti gli aeroporti dell’Ucraina sono stati chiusi, e il cielo è diventato pericolosamente aperto. Viviamo sotto la minaccia incessante di bombe e missili russi. Il mio biglietto aereo Kyiv-Roma  è rimasto solo un segnalibro nei miei volumi. In tutte le case dell’Ucraina, la finestra è diventata il punto più pericoloso. Come i nostri vicini e milioni di ucraini, abbiamo incollato nastri adesivi alle finestre e le abbiamo rinforzate con i nostri libri preferiti. Ho avuto la fortuna di avere a portata di mano le opere di Dante, Pascal, Tocqueville, Péguy, Claudel, Tolkien, Chesterton e altri autori prolifici. Improvvisamente, ho apprezzato il valore del mio lavoro editoriale e la solidità delle nostre rilegature. I dizionari sono tornati in primo piano, e mi sono vietato di aprire i libri contrassegnati da segni e annotazioni ai margini, usandoli come mattoni per proteggere le finestre. 


Oggi, le finestre — la parte più vulnerabile della nostra casa — sono direttamente legate al pericolo che viene dal cielo. Quando arriverà la distruzione? Cosa si troverà sul suo cammino? Quali precauzioni prendere perché non raggiunga il suo obiettivo? E’ strano rimpiangere di avere più di una finestra in casa. La luce ci pone davanti a una nuova alternativa: da quale finestra è più probabile che entrino bombe e proiettili? Da quella a nord o da quella a est? La risposta determina dove lavorare e dove mangiare. Di notte, facciamo dormire i bambini e gli ospiti nel corridoio, il più lontano possibile dalle finestre. Il significato dell’espressione “finestra di opportunità” è completamente cambiato per noi. Di fronte a questa minaccia costante, gli oggetti della nostra quotidianità hanno acquisito un significato nuovo e profondo. Attraverso le nostre finestre, ci uniamo all’esperienza delle vecchie generazioni europee e dei libri più sapienti che si sono confrontati con una prova storica per l’Europa. Come sapete, nell’Odissea, Ulisse nella tempesta deve resistere al canto delle sirene. Per non cedere alla passione, si fa legare all’albero della nave. Quale sarà, per ciascuno di noi, l’equivalente di quell’albero, davanti alla realtà concreta della guerra?


Dopo il 1945, la prima Europa si era data come missione quella di ristabilire l’economia e il diritto a ovest della cortina di ferro. A est, nello spazio sovietico, la questione dei diritti umani fu sostituita dal concetto di “diritto alla disumanità”, nello spazio staliniano e nel Gulag. Le domande poste da migliaia di vittime della grande carestia in Ucraina (l’Holodomor) o da altri apparati del terrore sovietico, sono rimaste senza risposta. La guerra in Afghanistan, le attività sovversive del Kgb in tutta Europa e altrove hanno intrecciato una serie di cappi geopolitici durante la Guerra fredda, fino al crollo dell’Unione sovietica. Ma nessun secondo processo di Norimberga si è mai tenuto: il nodo del silenzio sull’eredità dello stalinismo è rimasto.  Dopo il 1991, la seconda Europa ha chiuso in un armadio lo scheletro di un eventuale tribunale incaricato di esaminare i crimini del regime totalitario. L’impunità per i crimini contro l’umanità di quel regime ha lasciato un enorme vuoto politico e giuridico che nessuna iniziativa economica ha potuto colmare. Dopo la riunificazione tedesca, il sogno di una casa comune europea e di uno spazio senza frontiere ha sostituito la storia reale del continente con un’utopia. Le aggressioni militari del Cremlino in Cecenia, Georgia, Crimea, Donbass, Siria non hanno intaccato la sua impunità agli occhi dell’occidente. Il rifiuto di chiamare le cose con il loro nome – di dire pane al pane e vino al vino – ha indebolito la resistenza al male radicale. 


Dall’inizio dell’aggressione russa, la terza Europa affronta il conflitto più grande dalla Seconda guerra mondiale. La battaglia per Kyiv, nell’inverno 2022, non è stata solo la prima sconfitta militare del putinismo, ma ha segnato anche la fine delle illusioni occidentali sulla natura di quel regime. Tutto ciò è stato possibile grazie al coraggio della resistenza dell’esercito ucraino contro l’aggressore lungo un fronte di oltre mille chilometri, mantenuto ogni giorno e ogni notte, sotto la neve d’inverno e ora nel fango della primavera con l’aiuto ricevuto dai paesi liberi, tra cui l’Italia, che ringrazio. Per la prima volta, la frontiera dell’Europa è diventata una linea del fronte. In Ucraina, milioni di persone hanno risposto alla domanda: “Essere o non essere?”. Oggi questa domanda si pone a tutti gli europei.  Malgrado le tragedie quotidiane di Odessa, Kharkiv, Dnipro, noi continuiamo a lavorare. La scorsa estate, si è tenuta a Kyiv la più grande fiera del libro dell’Ucraina. Abbiamo visto, con commozione, una folla immensa fare la fila all’ingresso; tra loro, probabilmente, i lettori più coraggiosi e determinati del mondo. Il rifugio antiaereo più vicino non avrebbe potuto contenere tutti quelli che si accalcavano per acquistare libri. Lo stand più affollato era quello dei libri anneriti dalla fuliggine, provenienti dalla tipografia incendiata di Kharkiv, colpita in maggio dai proiettili nemici. Malgrado la minaccia delle bombe, i lutti intorno a noi, i blackout elettrici, la mancanza di riscaldamento o internet, continuiamo a lavorare, leggere, scrivere e vivere. Ma voglio sottolineare un cambiamento importante dovuto alla guerra: oggetti quotidiani, a cui prima non davamo attenzione, ora sono portatori di un significato nuovo e concreto. Tutto questo perché la rabbia neo-sovietica e neo-imperiale è davanti alle nostre porte. Ripenso spesso alla frase di Victor Hugo: “Finché esisterà la pena di morte, non esisterà una vera civiltà”. Quando è stata liberata la grande città di Kherson, si sono subito scoperte numerose stanze di tortura. A mio parere, la frase di Hugo dovrebbe essere trasformata così: “Non ci sarà una vera civiltà in Europa finché continueranno a esistere camere di tortura”. 


Un giorno, un giornalista visitava l’appartamento di Robert Badinter, allora ministro della Giustizia francese. Su uno scaffale, notò due grandi cucchiai di metallo, molto semplici. Uno proveniva da Auschwitz, uno di quei campi di sterminio dove era morto suo padre. L’altro veniva dal campo di internamento di Rivesaltes, in Francia. Il commento di Badinter fa riflettere: “In quei campi, servivano solo zuppa. Senza posate, si può solo leccarla, come un cane. Ma con un cucchiaio, si può portare la zuppa alla bocca, si è ancora uomini. La dignità umana, concretamente, è questa. Da allora ho un rispetto particolare per i cucchiai”. In Ucraina, nella situazione drammatica che stiamo vivendo, ogni oggetto della vita quotidiana è guardato in modo diverso. L’idea che il nostro amore per la libertà sia rappresentato da un cucchiaio, e che quel cucchiaio simboleggi la dignità umana, è diventata assolutamente necessaria. Come potete vedere, il Cremlino piazza gangster a tutti i livelli di governo. Inoltre, da diversi anni cerca di imporre il suo ruolo di gendarme dell’Europa ipnotizzando i leader occidentali. Ma lo spettacolo degli ipnotisti è di breve durata. Questa è la lezione impartita da Thomas Mann in “Mario e il Mago”. Nel pieno dell’ascesa del fascismo, l’autore racconta l’omicidio dell’ipnotizzatore Cipolla, che ridicolizzava il suo pubblico nella piccola città italiana di Venere privandolo di ogni dignità. Il messaggio urgente di Mann è un invito alla resistenza da parte di coloro che tardano a svegliarsi. Invita lo spettatore alla resistenza e all’azione.


Penso al popolo. E’ proprio il popolo che si trova al centro della nostra riflessione. Ricorderete i padri fondatori dell’Europa unita: il francese Jean Monnet, il belga Paul-Henri Spaak, il tedesco Konrad Adenauer, l’italiano Alcide De Gasperi, eccetera. Secondo Philippe Moreau Desfarges (storico delle relazioni internazionali) essi “nutrivano una diffidenza viscerale nei confronti dei popoli. La loro esistenza è marchiata a fuoco dai tragici sconvolgimenti delle follie nazionali: la Prima guerra mondiale, il fascismo italiano, il nazismo tedesco... L’Europa si costruirà aggirando i popoli. (…) È necessario un riferimento storico: nel 1848-1849, il Parlamento di Francoforte avrebbe dovuto realizzare l’unità della Germania; la vicenda si conclude... con lo scioglimento dell’assemblea considerata illegittima dai monarchi dell’epoca. Cosa farebbero oggi gli stati se, ad esempio, il Parlamento europeo si proclamasse assemblea costituente? Questo Parlamento gode di così scarso sostegno popolare che l’avventura probabilmente sfocerebbe in una farsa!”.


Questa presentazione dell’Europa dei popoli da parte di Philippe Moreau Desfarges è interessante, ma deve essere contestualizzata, in particolare nel suo lato pessimista e in questa affermazione secondo cui l’Europa, per i suoi popoli fondatori, si farebbe “scavalcando i popoli”. Oggi penso che dovremmo affermare il contrario. Il progetto di Jean Monnet, ad esempio, era un progetto che lasciava scarso potere al Parlamento europeo. La ragione di ciò forse non era la sfiducia nei confronti del popolo stesso, che sarebbe stata intrinsecamente dannosa per il progetto europeo, ma piuttosto la sfiducia nell’instabilità parlamentare di cui soffriva la Francia e nella sua conseguenza diretta: l’instabilità dell’esecutivo di governo. Oggi, oltre a questa sfiducia dei fondatori nei confronti del popolo o dei suoi rappresentanti, è stato ampiamente osservato anche un altro movimento: la sfiducia del popolo nei confronti di un’Europa ritenuta troppo burocratica. L’Europa non è abbastanza democratica, è troppo costosa, è troppo lontana dai problemi quotidiani dei cittadini degli stati membri: una tesi concretamente contestata dal politologo americano Andrew Moravcsik quando denuncia il “mito del deficit democratico europeo” e l’uso politico, all’estrema destra e all’estrema sinistra, di questo argomento per sostenere agende politiche nazionali.


C’è una divisione del lavoro in cui l’Unione europea tende ad assumere le funzioni comunemente delegate, mentre quelle che richiedono la partecipazione popolare restano in gran parte in mano agli stati nazionali. L’Unione europea oggi continua a essere accusata di essere distaccata dai suoi cittadini e inefficace, soprattutto nel contrasto di Putin e dei suoi alleati. E’ un vero e proprio problema per gli anni futuri. Non si può accusare l’Europa di essere militarmente debole finché questi poteri restano poteri che nessuno stato membro sembra disposto a delegare. Tuttavia, dal 1979 il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale diretto. Anche se il Parlamento non ha diritto di iniziativa, l’esistenza di poteri e contropoteri è una realtà: un sistema giuridico esiste.

Esiste dunque un popolo europeo. E la sua esistenza non è segno di abbandono della sovranità. Questa espressione costituisce un abuso linguistico, utilizzato politicamente per contrapporre il popolo e l’Europa, perché nulla è andato perduto: per creare l’Europa, il popolo o i suoi rappresentanti non hanno rinunciato alla sovranità, ma hanno deciso sovranamente e liberamente di delegarne l’esercizio, in alcuni ambiti ben definiti, a un’entità esterna. E’ sempre possibile riprendere l’esercizio di questa sovranità senza dissolvere il tutto. Di fronte ai pericoli che ci aspettano che cos’è, allora, uno stato europeo? Qual è la nostra solidarietà di fronte a questi pericoli? Perché la democrazia non è l’atomizzazione della società in diversi sottoinsiemi che non comunicano mai tra loro. Ricordate Aristotele e la sua polis. Per Aristotele, la polis è lo spazio dell’esperienza dell’amicizia. Permettetemi di citare un passaggio del mio libro “Quando l’Ucraina si alza”: “La città, la polis greca, è il luogo dove ci sono amici, che si fidano l’uno dell’altro, che non sono legati solo da vincoli commerciali di interesse, è un luogo politico dove il pensiero può liberamente incontrare altro pensiero, la contraddizione, la critica” … cioè il contrario del putinismo.


Le istanze necessarie della società civile nella nostra società contemporanea sono le istanze di espressione popolare: la voce dei giornalisti, delle ong, delle persone mobilitate nelle piazze dell’indipendenza a Kyiv: sono queste persone che non devono essere dimenticate nella loro mobilitazione a favore dell’Europa. Noi, io e mio figlio Alex, abbiamo portato sulle spalle la bandiera nazionale dell’Ucraina e quella europea, sono due bandiere che il popolo ucraino issa in alto da dieci anni. Il nostro Maidan (la rivoluzione della dignità, ndr) ha sorpreso l’Europa occidentale. E noi stessi siamo rimasti stupiti da questo sguardo stupito dell’occidente. Questo doppio stupore di ieri non deve più essere lo stesso che sussiste oggi, nel 2025. Dal 2014, dal punto di vista ucraino, ci troviamo in un grande movimento di approvazione popolare di ciò che rappresenta il rapporto Europa-popolo, e non è un rapporto di sfiducia. Questo rapporto ci porta ben oltre questa dicotomia che è diventata, per noi, anacronistica. Ciò che faceva parte di questa memoria della sfiducia dell’Europa nei confronti del popolo (e anche della sfiducia del popolo nei confronti dell’Europa) a Maidan diventa un pensiero emancipatorio: l’associazione del popolo ucraino al progetto europeo è un progetto di indipendenza dall’imperialismo russo. Questa associazione è un invito a vedere questo progetto in un modo nuovo, dall’interno e dall’esterno. Milioni di cittadini ucraini si sono impegnati in un movimento per l’Europa attraverso la pratica sociale e politica, ma anche attraverso la riflessione filosofica, attraverso la circolazione di testi e idee e attraverso la conoscenza reciproca dei nostri autori e delle nostre pratiche. La nostra guerra per questa indipendenza continua tragicamente ancora oggi. E invita l’Europa occidentale a non ridurre il rapporto Europa-popolo a un rapporto di sfiducia. Anzi, dovrebbe essere vero il contrario.


Constantin Sigov, filosofo ed editore, è direttore del Centro di studi europei presso l’Università Mohyla di Kyiv, direttore della casa editrice Dukh et Litera (Lo spirito e la lettera) e corrispondente per la sezione di filosofia dell’Accademia delle scienze morali e politiche. Nel 2024 ha ricevuto il Grand Prix Hervé Deluen dall’Accademia di Francia ed è stato nominato dottore honoris causa dall’Università di Marsiglia Aix-en-Provence. E’ vincitore del programma Sogeda. Ultime opere pubblicate: Quand l’Ukraine se lève. La naissance d’une nouvelle Europe, Paris, Talent Éditions, 2022 ; Le Courage de l’Ukraine. Une question pour les Européens, Paris, Éditions du Cerf, 2023; Für Deine und meine Freiheit. Europäische Kriegserfahrungen in Kyjiw, Stuttgart, ibidem-Verlag, 2024.

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