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lo scontro
Musk l'idealista e Trump l'affarista, tecnodestra contro Maga
Da un lato una corrente guidata da logiche ideologiche e trasformative, dall’altro un approccio pragmatico e legato al tornaconto personale. Una frattura netta attraversa il mondo conservatore americano
Sarebbe piuttosto facile e certamente consolatorio voler leggere nella furiosa escalation di messaggi e di epiteti insultanti scambiati tra Elon Musk e Donald Trump una mera questione di interessi economici personali più o meno traditi. La cancellazione degli incentivi per l’acquisto degli autoveicoli elettrici nel testo del “Big Beautiful Bill” trumpiano, velocemente trasmesso al Senato di notte, non spiega tutto. Musk in realtà era profondamente deluso dalla china presa dall’Amministrazione Trump da molto prima del suo annunciato addio: e con lui a essere deluso è l’apparato tecno-industriale che pure ha sostenuto Trump e che però del pari si è puntellato costruendo politicamente in vitro J.D. Vance, fino a farlo ascendere alla vicepresidenza degli Stati Uniti.
Il patron di SpaceX aveva mal digerito il flirt tra una parte dell’Amministrazione e OpenAI, contro cui Musk aveva speso parole di fuoco nei mesi scorsi, fino a ventilarne addirittura l’acquisto. Del pari sgraditi, per usare un eufemismo, erano stati i dazi, già stigmatizzati da Musk durante il collegamento da remoto al congresso fiorentino della Lega. La verità è che c’è una forte per quanto liminale linea d’ombra che separa due visioni all’interno dell’Amministrazione statunitense: c’è, da un lato, quella basica, opportunista, legata all’interesse personale, anche economico, che anima Trump e l’universo Maga fideisticamente stretto attorno al Presidente, e dall’altro lato c’è il conglomerato della tecnodestra che al contrario ha una propria visione di matrice ideologica.
Se per Trump era semplicemente importante garantirsi un treno per la rielezione e, una volta rieletto, mettere a terra un sistema che gli garantisse introiti e profitti, per Musk, Thiel, Andreessen e gli altri la posta in gioco era ed è molto più ambiziosa: trasformare la forma di governo degli Stati Uniti nel nome di una visione radicale, accelerata e militante di efficienza. In una biografia recentemente pubblicata su Musk, Faiz Siddiqui ricorda l’episodio in cui un giovane Musk si dichiarava un “nuovo Alessandro Magno”: non c’è dubbio che quando si raggiunge un patrimonio di quella consistenza e un potere economico senza pari, la logica del follow the money difficilmente spieghi tutto. Nel podcast americano di Arjun Khemani, è stato ricordato che Musk può permettersi davvero di essere un idealista. Ha i suoi interessi, senza dubbio alcuno, ma questi sono subordinati alla sua visione, alla sua idea trasformativa del reale. Mandare il genere umano tra le stelle e su Marte, coadiuvare lo sviluppo medico con Neuralink, governare l’intelligenza artificiale, ridurre al minimo lo Stato. Può apparire paradossale ma il profitto in questo contesto, e per come Musk è davvero fatto, a detta di tutti i suoi biografi e storici collaboratori, diventa un elemento puramente ancillare. Una conferma a questa impostazione e a una visione radicalmente differente tra tecnodestra e Maga ci è rimandata dal duro scontro tenutosi settimane fa tra il finanziere repubblicano Bill Ackman e il Segretario al commercio Howard Lutnick, accusato dal primo di guadagnare con i bond grazie alla politica sui dazi. La stessa scena di Trump che, ad aprile, nello Studio Ovale si intrattiene con alcuni collaboratori parlando di quanto abbiano profittato dai dazi è indice di un approccio legato al guadagno fine a sé.
La questione quindi non è come e se vi siano possibilità di ricucire il durissimo strappo. Non aiutano ovviamente nemmeno i caratteri. Quando Steve Bannon chiede l’espulsione dagli Usa di Musk e questi lo definisce cinque volte “ritardato” e “comunista ritardato” su X è evidente che si sta raggiungendo un punto di non ritorno, anche relazionale. Ma la divaricazione è più radicale di una mera faida inter-personale. In tutto questo, dopo essere rimasto silente per ore, J.D. Vance ha postato su X una professione di fedeltà a Trump. Che, a dirla tutta, non va presa troppo alla lettera. La tecnodestra può attendere, glielo consentono i dati anagrafici di Trump, il potere di finanziamento e di rielezione dei parlamentari repubblicani, nella prospettiva delle elezioni di midterm, per fare maggiore pressione su Trump e fino all’ipotesi di sostituzione con Vance