
Una protesta fuori dal Parlamento georgiano il 28 ottobre 2024 a Tbilisi, Georgia (foto Getty)
Il discorso
Tbilisi nel 1937 e Tbilisi oggi: il terrore russo. Il costo dell'impunità e il senso di una comune lotta europea
“Il trauma degli anni ’30 è riemerso con forza nel nostro presente: molti artisti, politici, scienziati e cittadini georgiani vennero deportati o eliminati fisicamente ai tempi di Stalin proprio con l’accusa di essere “agenti stranieri”. Oggi succede lo stesso”. Le parole dello scrittore Lasha Bugadze al Parlamento europeo
Pubblichiamo il discorso che Lasha Bugadze, scrittore e sceneggiatore georgiano, ha tenuto martedì 2 giugno al Parlamento europeo.
Permettetemi di iniziare raccontandovi due storie. 1937, Tbilisi: “Ci svegliarono a tarda notte, entrarono nella stanza, erano quattro o cinque, non ricordo, armati. Mio padre disse a mia zia: prenditi cura di loro – riferendosi a noi e a mia madre. Poi seguì quegli uomini. Aveva 41 anni. Non lo abbiamo più visto. Dopo vent’anni abbiamo saputo che era stato fucilato pochi giorni dopo quella notte”. 2025, Tbilisi: “Sono piombati in casa all’alba, mi hanno detto che erano vicini. Guardai, erano quattro persone, vidi anche una bodycam, ero incinta, con un bambino piccolo, mi hanno preso il cellulare, non potevo oppormi. Ci hanno rinchiusi per ore, ci hanno minacciati, umiliati, perquisiti”.
Queste non sono storie inventate, sono storie vere. La prima avvenne nel 1937 a Tbilisi: a raccontarla è mia nonna, che allora aveva undici anni e ha ricordato per tutta la vita l’arresto di suo padre da parte dei cekisti di Stalin e Beria. La seconda storia è accaduta anch’essa a Tbilisi, ma il 29 aprile 2025, ed è una delle tante che si sono accumulate negli ultimi dodici mesi. A raccontarla è Mariam Bajelidze, giornalista e oppositrice del regime filorusso georgiano di Bidzina Ivanishvili, nella cui casa sono entrati all’alba. La differenza è grande – mio nonno fu fucilato dagli stalinisti insieme a milioni di altri nel 1937, mentre Mariam Bajelidze e centinaia di critici del regime sono stati arrestati, torturati, intimiditi e vessati. Non ci sono (ancora) morti – e speriamo non ce ne siano – ma molti, sotto tortura e percosse, hanno guardato la morte negli occhi. Mia nonna e le sue sorelle vennero etichettate come “figlie del nemico” e avevano paura di uscire di casa. Non molto tempo fa, sul muro di casa mia è comparsa una scritta simile: “Nemico del paese”, tracciata dalla mano dei titushki di Ivanishvili.
Ciò che accomuna queste storie è il terrore russo, che oggi si presenta nella forma trasformata del putinismo, e che – nel caso della Georgia – cerca, tramite il suo satellite, di privarci della democrazia e della libertà. Per dirla con Hegel, la storia è anche una profezia del passato. Per noi, popolo liberatosi dalla Russia e ancora in lotta contro di essa, la storia è divenuta una lezione dolorosa e una realtà vissuta. Negli ultimi anni, e in particolare nell’ultimo, da quando il partito del magnate Ivanishvili, Sogno georgiano, ha approvato la cosiddetta legge russa – ovvero la legge sugli agenti stranieri – il trauma del terrore degli anni ’30 è riemerso con forza nel nostro presente: molti artisti, politici, scienziati e cittadini georgiani vennero deportati o eliminati fisicamente ai tempi di Stalin proprio con l’accusa di essere “agenti stranieri”. Oggi succede lo stesso: si etichettano come agenti stranieri i membri di ong critiche verso l’oligarca filorusso, i politici dell’opposizione, noi scrittori e artisti che boicottiamo gli eventi ufficiali per solidarietà con i colleghi arrestati e torturati durante le manifestazioni.
Oggi sono stati arrestati per il loro impegno nel protestare anche attori noti come Andro Chichinadze, Vepkhia Kasradze, Onise Tskhadadze e altri. Sogno georgiano ha riportato la censura sovietica, e ora nel mirino ci sono celebri registi e drammaturghi come Data Tavadze e David Doiashvili. E ancora Mzia Amaghlobeli, coraggiosa giornalista in prima linea contro il regime.
Per noi, riflettere sulla storia non è un esercizio astratto: è un’esperienza che ci aiuta a riconoscere il problema e a combatterlo. Ma in Europa il pericolo putinista è stato davvero compreso e interiorizzato? Per noi questa domanda resta fonte di grande inquietudine. E non senza ragione. L’Europa è la nostra speranza, la nostra alleata, il nostro sostegno. Eppure, siamo rimasti spesso sbigottiti vedendo come l’occidente abbia per anni evitato di punire il regime neofascista e neostalinista di Vladimir Putin.
Putin attaccò la Georgia nel 2008, e ne uscì impunito: l’assassino, il tiranno, non fu punito. Anzi, sembrava che i colpevoli fossimo noi – colpevoli di aver osato difenderci dalla Russia. Incoraggiato da questo, Putin aggredì l’Ucraina nel 2014, annettendo la Crimea – e anche stavolta, nessuna punizione. E ancora: alcuni leader europei fecero di tutto affinché né la Georgia né l’Ucraina ricevessero nel 2008 un piano d’azione per l’adesione alla Nato. Questo fu un segnale chiaro per Putin: pochi mesi dopo ci attaccò, e nel 2022 ha voluto addirittura cancellare l’Ucraina. Sono stati gravi errori: illusioni, cecità, che hanno esposto sia noi sia l’Europa al pericolo dell’aggressione russa. Oggi, speriamo che tutti abbiano finalmente capito che Putin non si fermerà alla Georgia e all’Ucraina. Speriamo.
Per questo, Europa! Mostra la tua forza, difendi i tuoi ideali. Putin deve essere sconfitto, e tutti i suoi alleati nel mio paese devono essere puniti. Perché ci allontanano dall’Europa e ci sottraggono l’indipendenza, pur di mantenere al potere l’autocrate filorusso Ivanishvili. Costoro sviliscono l’Europa ogni giorno, attraverso la propaganda, presentano l’occidente come un nemico, e nel frattempo godono di tutti i privilegi occidentali: viaggi, divertimento, studi per i propri figli. Questa ipocrisia deve finire. Noi stiamo lottando. Ma, come sempre, è la forza dell’Europa che deve sorreggere la nostra lotta. La Georgia non sarà mai parte del “mondo russo”, perché sono certo che neppure il mondo putinista avrà lunga vita, e in questa battaglia dobbiamo essere uniti. Il terrore e la guerra non devono diventare una realtà permanente in Europa.