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a new york
Non basta piazzare una scultura woke a Times Square per avere successo
La scultura monumentale e politicamente corretta di Thomas J. Price non convince New York. Tra accuse di stereotipi e disconnessione culturale, l’arte woke inciampa su se stessa
Lo sapevano già gli assiri, gli egiziani, i romani e pure Michelangelo fino al monumento degli Asparagi a Santena. Se a un soggetto cambi scala e lo ingrandisci molto, diventa monumento e lo spettatore s’intimidisce e magari lo venera o si fa un bel selfie. Se poi oltre a essere monumentale il soggetto è, come nel caso della donna di bronzo dello scultore inglese Thomas J. Price apparsa a Times Square, pure woke, il successo dovrebbe essere assicurato. Invece le polemiche sono esplose da tutte le parti. La giovane donna, uscita forse dall’intelligenza artificiale, nera con i dreadlock, secondo alcuni ha un atteggiamento aggressivo, stereotipo della donna afroamericana sdoganato da Michelle Obama che però lo portò sulle copertine di Vogue e non in mezzo a quel calderone digitale che è Times Square. L’artista è nero, ma essendo britannico viene accusato di non capire la cultura nera americana. Un colonialista di ritorno, si potrebbe definire.
La polemica e la scultura stessa anziché wokarci, svegliarci, ci fa sbadigliare. Se si toglie il genere, la razza, la correttezza politica a molta arte di oggi, si piomba in uno stile “pompiers” tipo quello della seconda metà dell’Ottocento o in un macchiaolismo etnico da addormentare i morti. Più che woke è snooze, sonno profondo. Thomas J. Price è una sorta di Canova post coloniale, un Cellini che ha letto Edouard Glissant o Derek Walcott. Come trucco alle sue figure mette magari in mano un cellulare o addosso un paio di jeans e una t-shirt, così diventano attuali più che contemporanee. In mezzo ai giganteschi schermi, la ragazza XXXXL ci sta anche bene, il contrasto funziona, ma funzionava anche quando hanno messo una scultura di Price in mezzo a Piazza della Signoria a Firenze. Il dialogo sia con il passato remoto che con il futuro semplificato è garanzia di successo. Meglio di un Botero di sicuro, ma è come sparare sulla misericordia. Certo è che il woke è un cavo ad alta tensione scoperto: come lo tocchi ci rimetti la pelle, non importa se pure tu sei un woke Doc come nel caso di Price. Sono a prova di bomba le donne.
Se ci mettevano una scultura di Simon Leigh, gettonatissima onnipresente scultrice americana – che secondo me corre troppo sul filo del folcloristico triviale più che tribale, assomiglia a volte anche al pessimo Manolo Valdes, quello che invase Piazza San Marco – nessuno avrebbe avuto da ridire o potuto dire qualcosa non di sinistra. Siamo in una fase di post colonialismo pompier o post orientalismo “deamicisiano” che non fa troppo bene all’arte e al dibattito attorno all’arte. Il consenso buonista è dittatoriale, il disaccordo eutanasia culturale. L’artista se arriva dalla zona giusta è scafato, non scafista. Thomas J. Price è un po’ un Mitoraj cool, un Vangi A.I. Non credo che veramente piaccia, ma se lo fanno piacere. Il woke è il cavallo di Troia di gusti conservatori, banali, e un po’ reazionari. Nella New York laica e liberale dove la sanno lunga e non esiste l’OBE, Order of the British Empire, Thomas J. Price ha pestato una cacca. Non basta rappresentare e ingrandire la propria identità per avere l’indennità.