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Trump vuole un'intelligence che si occupi solo delle sue priorità politiche

Giulia Pompili

La direttrice Tulsi Gabbard cambia le priorità delle agenzie americane: meno occhi sulle minacce alle democrazie liberali, meno occhi sul terrorismo, più attenzione a immigrazione e confini nord e sud

L’altro ieri Tulsi Gabbard, direttrice dell’Intelligence nazionale dell’Amministrazione americana di Donald Trump, ha spiegato per la prima volta la direzione che prenderà la comunità dell’intelligence americana sotto la sua guida. A St. Louis, alla conferenza annuale della United States Geospatial intelligence foundation, ha parlato di quello che ha definito il “più grande cambiamento nelle priorità di raccolta delle informazioni nella storia dell’Odni”.

 

L’Odni è l’ufficio sotto la sua direzione da cui dipendono le 18 agenzie di sicurezza e spionaggio americane, tra cui la Cia, l’Nsa e l’intelligence militare: è praticamente l’intero regno della raccolta delle informazioni del paese più potente del mondo in questo campo. Quasi tutti i dipartimenti federali americani hanno subìto la rivoluzione del secondo mandato di Trump, ma Gabbard finora era stata  piuttosto defilata. Alla platea di un simposio sull’intelligence spaziale, la discussa direttrice, che fino al 12 febbraio scorso sembrava potesse perfino non essere confermata dal Senato americano, ha spiegato che le agenzie americane ora saranno al servizio delle priorità politiche di Trump. “Concentrarsi sulla sicurezza dei confini, sull’antiterrorismo e sulla lotta al narcotraffico è un fronte nuovo sotto molti aspetti”, ha detto Gabbard, lamentando che finora “non c’è stata sufficiente enfasi sulla raccolta dati in quest’area, quindi intensificheremo immediatamente l’ attenzione”. Le agenzie dovranno quindi aumentare la raccolta dei dati e delle immagini satellitari soprattutto “ai confini meridionali e settentrionali” degli Stati Uniti, per monitorare il flusso eventuale di potenziali migranti irregolari e di narcotraffico, con un “coordinamento senza precedenti” fra le varie agenzie. 


Per molto tempo il trumpismo ha combattuto contro quello che definiva il “deep state”, di cui l’intelligence era parte integrante, accusando chiunque ne facesse parte di cospirare contro di lui. Appena rieletto, ha scelto una squadra di governo che nei ruoli di sicurezza e Difesa la pensasse come lui: a capo della Cia è arrivato John Ratcliffe, che da direttore dell’intelligence tra il 2019 e il 2020 era stato più volte accusato di politicizzare il suo mandato; e poi Kash Patel, propalatore  di teorie del complotto dell’universo Maga scelto come direttore dell’Fbi; infine Tulsi Gabbard, considerata “pericolosa”, secondo un articolo del Guardian dell’anno scorso, da gran parte della comunità d’intelligence americana. Fino a qualche settimana fa alcuni analisti americani credevano che il grande cambiamento che avrebbero portato la nuova Amministrazione Trump nelle agenzie sarebbe stato rivolto verso la Cina, definito l’avversario strategico più importante anche da Ratcliffe durante la sua audizione di conferma. Ma l’altro ieri Gabbard ha spiegato a una platea di affaristi e lobbisti che no, l’obiettivo della nuova intelligence americana saranno i confini. E’ un cambiamento di direzione politica gigantesco: le agenzie hanno già subìto tagli drastici, allontanamenti ed epurazioni – Gabbard in settimana ha licenziato due alti funzionari del National Intelligence Council dopo che avevano pubblicato una valutazione che contraddiceva Trump sull’uso dell’Alien Enemies Act per deportare i presunti membri di gang venezuelane senza un giusto processo – e ora devono fare i conti con un’intelligence, tra le più importanti, forse la più importante del mondo, che si concentra su Messico e Canada usando anche il sostegno e contratti con aziende private, come ha scritto Space News, aprendo le porte a una corsa alle forniture di servizi d’intelligence che, per loro natura, sono particolarmente delicate. Già qualche giorno fa, a Fox, Patel aveva detto che l’afflusso di fentanyl negli Stati Uniti era colpa del Canada, nonostante meno dell’1 per cento dei sequestri avvenga al confine nord. “L’intelligence, per essere utile, deve essere tempestiva, pertinente e oggettiva e imparziale”, ha detto Gabbard, sulla cui definizione di “imparzialità” la vede come Trump: imparziale è ciò che non mette a repentaglio le politiche dell’Amministrazione. Ha detto poi che lavorerà personalmente “per assicurarsi che i nostri decisori politici ricevano informazioni che soddisfino questi tre parametri e che vengano fornite alla velocità operativa”, perché le informazioni che “arrivano troppo tardi o non forniscono il quadro completo di cui il presidente ha bisogno per poter prendere decisioni importanti o sono inutili”.

Il lento e inesorabile spostamento del focus delle agenzie di spionaggio americane sulle priorità di Trump avrà l’ennesimo impatto anche sul Five Eyes, l’alleanza d’intelligence tra paesi anglofoni che comprende, oltre agli Stati Uniti, anche Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito. Gli occhi americani sul mondo, sulle minacce contro le democrazie liberali, sono a un passo dallo spegnersi.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.