
L'editoriale del direttore
L'escalation che serve contro Putin
L’esercito russo che si avvicina a un paese della Nato. E poi le ingerenze indebite, le guerre ibride, i cavalli di Troia. Per l’Europa e l’Italia è tempo di prendere sul serio il presidente russo. Per custodire la pace senza lavorare alla resa
Pace, resa, deterrenza, escalation e nemici da prendere sul serio: qual è il giusto equilibrio? Planet Labs è un’azienda famosa che usa da anni satelliti per monitorare quotidianamente la Terra e qualche giorno fa ha offerto a un’importante televisione svedese, la Svt, un documento che ha fatto il giro del mondo. Il documento mostrava con chiarezza un’attività fitta da parte dell’esercito russo lungo il confine della Finlandia, in particolare in quattro siti chiave: Kamenka, Petrozavodsk, Severomorsk-2 e Olenya.
A Kamenka, in particolare, un fazzoletto di terra situato a sessanta chilometri dal confine finlandese, da febbraio sono state installate su terreni precedentemente non edificati oltre 130 nuove tende militari in grado di ospitare circa duemila soldati. A Petrozavodsk, a circa 160 chilometri dal confine, sono stati costruiti tre grandi magazzini destinati allo stoccaggio di un massimo di 50 veicoli blindati. Più a nord, a Severomorsk-2, un aeroporto precedentemente inattivo e ora riattivato, è stato arricchito con diversi elicotteri. Anche la base aerea di Olenya, situata a circa 140 chilometri dalla Finlandia, già usata in passato per missioni di bombardieri a lungo raggio per la guerra in Ucraina, ha mostrato, dalle immagini satellitari, un’improvvisa attività. Il confine a est della Finlandia non è un confine come gli altri.
E’ un confine speciale perché, da quando la Finlandia, due anni fa, ha scelto di abbandonare il suo regime di neutralità mettendo i propri piedi nella Nato, mossa dal timore di poter essere preda di un’aggressione simile a quella con cui deve fare i conti da tre anni l’Ucraina, quel confine è diventato la linea di contatto tra l’alleanza occidentale e la Russia più importante del mondo, con i suoi 1.330 chilometri di frontiera. Le immagini di Planet Labs, ha scritto due giorni fa il New York Times in un articolo molto informato, sembrano essere le prime fasi di un’espansione più ampia e a lungo termine della Russia. L’accumulo di truppe lungo il confine ricorda un accumulo di truppe più famoso, quello al confine con l’Ucraina che venne sottovalutato da molti osservatori prima del febbraio del 2022, e seppure le dimensioni della riorganizzazione dell’esercito russo in questo caso non siano paragonabili a quelle registrate tre anni fa è evidente che le immagini siano lì di fronte agli occhi degli osservatori europei a segnalare un tema non da poco.
Siamo pronti a prendere sul serio i nostri avversari militari quando si muovono in modo minaccioso contro di noi? Siamo pronti a considerare lo scenario dell’aggressione a un paese dell’Alleanza atlantica come un qualcosa non di puramente astratto ma come qualcosa di terribilmente concreto? E siamo pronti a considerare, come stanno facendo i finlandesi, lo scenario dell’aggressione a un paese che fa parte dell’Alleanza atlantica che, in una stagione dominata dall’irresponsabilità trumpiana, dall’anti europeismo americano, dal putinismo di ritorno del capo della democrazia più importante del mondo, potrebbe aver bisogno dei paesi europei per potersi difendere?
Giorni fa, l’analista militare finlandese Emil Kastehelmi ha detto al Wall Street Journal che se la Russia seguirà i suoi piani attuali nei prossimi anni potrebbero esserci decine di migliaia di nuovi soldati vicino ai confini di Norvegia, Finlandia e paesi baltici. La percezione della minaccia, ovviamente, è inversamente proporzionale alla distanza di un singolo paese dalla Russia. Ma anche i paesi lontani dalla Russia dovrebbero sapere che Putin ha ordinato all’esercito di aumentare le sue truppe fino a 1,5 milioni, rispetto al milione circa precedente all’invasione dell’Ucraina; che Putin ha aumentato la spesa militare a oltre il 6 per cento del pil quest’anno, dal 3,6 per cento prima della guerra (gli Stati Uniti hanno speso il 3,4 per cento del loro pil per le spese militari lo scorso anno, i paesi dell’Ue, in media, hanno speso il 2,1 per cento); che Putin ha aumentato la produzione di cannoni e munizioni di circa il 20 per cento quest’anno; e che Putin oggi produce circa 300 T-90M all’anno, i suoi carri armati da combattimento principali, mentre prima del 2021 ne produceva 40. Prendere sul serio i nostri nemici, i cattivi si potrebbe dire banalizzando, è una della grandi sfide contemporanee delle democrazie liberali, che di fronte ai cattivi che lanciano minacce in giro per il mondo di solito tendono a darsi di gomito e a dire: ma dai, ma ti pare, ma quando mai, ma lo dicono sempre, non ti preoccupare, vedrai che poi non succederà niente, vedrai che la Russia non attaccherà, vedrai che l’Iran non bombarderà, vedrai che la Cina non ci proverà neppure con Taiwan.
Prendere sul serio i nostri nemici, i cattivi si potrebbe dire, significa prendere sul serio tutto quello che oggi significa proteggere i nostri confini, i confini della nostra libertà, da tutte le minacce che un paese come la Russia si porta con sé, e con le quali tende a indebolire le nostre democrazie. Influenze esterne, ingerenze indebite, guerre ibride, cavalli di Troia, provocazioni di ogni genere. Gli utili idioti del pacifismo putiniano, coloro cioè che considerano come unica forma accettabile di difesa lo sventolio della bandiera bianca, hanno trasformato la parola escalation in un tabù, in un sinonimo dell’essere guerrafondai. Eppure di fronte alle minacce russe che aumentano, di fronte alla deterrenza americana che si indebolisce, di fronte ai paesi Nato intimiditi dalle autocrazie, per scommettere su un’Europa in grado di non pestarsi i piedi, in grado di governare gli egoismi, in grado di mettere da parte i narcisismi, in grado di difendere se stessa, vi è solo una strategia: scommettere su un’escalation difensiva per recuperare la nostra capacità di deterrenza e fare tutto il necessario per preservare la pace futura senza lavorare per una resa immediata.

Una questione di credibilità