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l'editoriale del direttore

Elezioni, strategia, economia. I danni causati da Trump ai suoi follower (con un avvertimento a Meloni)

Claudio Cerasa

Da quando il presidente americano è tornato alla Casa Bianca i suoi alleati hanno perso terreno praticamente ovunque, mentre il fronte degli anti trumpiani si è rivitalizzato. Capire l'eccezione italiana con il paradosso di Buridiano

Il dubbio a questo punto è lecito: amici di Trump o amici del giaguaro? Da quando Donald Trump è arrivato alla Casa Bianca, per i follower del trumpismo sono cominciati mesi complicati da gestire. Nel migliore dei casi, lo avete visto, i follower più naturali di Trump, specie quelli europei, hanno dovuto fare i salti mortali per nascondere la propria vicinanza al pensiero trumpiano sapendo bene quanto per gli elettori non americani, che si ritrovano ogni giorno tartassati e umiliati dall’Amministrazione americana, possa essere particolarmente impopolare essere percepiti come amici del presidente americano. Di questa categoria, come abbiamo visto, fa parte certamente il partito guidato da Marine Le Pen, che da mesi cerca in modo acrobatico in Francia, in mezzo a mille altri guai, di far dimenticare quanto l’agenda Trump e l’agenda Le Pen siano totalmente simmetriche. Ma accanto a questa categoria ve n’è un’altra che sta emergendo sempre con maggiore forza in giro per il globo terracqueo. Ed è una categoria speciale: quella che riguarda i follower del trumpismo che si ritrovano a fare i conti con i risultati elettorali.

Salvo casi rarissimi, gli amici di Trump, o forse gli amici del giaguaro, da quando Trump ha conquistato l’America hanno perso terreno praticamente ovunque. Gli estremisti di destra in Germania molto amati da Musk e da Vance (AfD) sono stati arginati. I conservatori teoricamente vicini a  Trump in Canada (Cpc) sono stati sconfitti. I conservatori vicini a Trump in Australia (guidati da Peter Dutton) sono stati battuti. E negli ultimi mesi, in Europa, in diverse occasioni è capitato di vedere gli amici del trumpismo in grosse difficoltà. Domenica, lo abbiamo visto in Romania, il sindaco europeista di Bucarest, Nicușsor Dan, ha sconfitto il partito anti europeista guidato da George Simion (alleato di Meloni in Europa). In Portogallo, alle elezioni politiche, il leader conservatore del partito social-democratico, Luís Montenegro, un anti trumpiano di ferro, ha vinto tenendo distante il partito trumpiano di Chega. In Polonia, al primo turno delle presidenziali, Rafal Trzaskowski, il candidato del primo ministro, Donald Tusk, area Ppe, è arrivato in testa, anche se il candidato del PiS, i conservatori più vicini a Trump (e Meloni), hanno ottenuto il 29 per cento, superando le aspettative. In Austria, il governo, a marzo, è nato attraverso una grande coalizione tra partiti anti trumpiani il cui obiettivo prioritario era quello di tenere fuori dalla maggioranza gli euroscettici dell’Övp (alleati di Salvini).

Il trumpismo, in politica, da quando Trump è tornato alla Casa Bianca, ha rivitalizzato il fronte degli anti trumpiani, ha messo in imbarazzo il fronte dei trumpiani, ha suggerito a governi teoricamente non europeisti ad avvicinarsi all’Europa per fare fronte comune contro l’America trumpiana, come è stato per il Regno Unito guidato da Keir Starmer che ieri ha firmato un accordo storico sulla pesca con l’Ue facendo impazzire i trumpiani pro Brexit del suo paese, e ha spinto infine partiti distanti dal trumpismo a trovare punti di incontro per resistere all’onda d’urto dell’estrema destra in Europa. Il mondo disegnato dal trumpismo è l’esatto opposto di come il trumpista collettivo lo avrebbe immaginato e anche desiderato. E l’effetto generato da Trump, almeno finora, ha rafforzato i nemici di Trump indebolendo gli amici di Trump. E in questo scenario e in questo quadro è evidente che vi sia un grande elefante nella stanza per quello che è considerato il più trumpiano dei governi europei: quello italiano. 

E per capire il perché è sufficiente mettere insieme i puntini. Il trumpismo, dal punto di vista politico è imbarazzante (vedi Le Pen). Dal punto di vista elettorale è disastroso (vedi i risultati elettorali). Dal punto di vista strategico è autolesionistico (dazi e non solo). E a Meloni evidentemente non sarà sfuggito che molti dei partiti trumpiani respinti negli ultimi mesi in Europa sono o alleati diretti di FdI in Europa (il partito di Simion in Romania, il PiS in Polonia) o alleati degli alleati di Meloni (Chega in Portogallo fa parte dei Patrioti, l’AfD in Germania è un partito con cui la Lega vorrebbe tornare ad allearsi). E dunque più passa il tempo e più per Meloni il compito si farà duro: essere europeisti senza essere anti trumpiani, essere trumpiani senza essere anti europeisti, essere patrioti senza essere autolesionisti, essere conservatori senza essere considerati degli utili idioti del trumpismo. Il gioco per ora funziona, anche se a volte è spericolato, ma l’effetto avuto finora dal trumpismo in Europa è lì a mostrare una Meloni che sa che per restare in sella, per non perdere consenso e per tutelare il proprio interesse nazionale deve camminare come un funambolo su un filo molto sottile. Un filo pericoloso non solo per il proprio paese e per la sua centralità in Europa, ma anche per il proprio consenso. Essere prudenti è saggio, essere attendisti è umano, essere incapaci di scegliere da che parte stare alla lunga però può portare a cadere nella trappola dell’asino di Buridano, nella trappola cioè del famoso asino del paradosso di Giovanni Buridano, filosofo francese del XIV secolo, che posto tra due mucchi di fieno perfettamente identici essendo incapace di scegliere quale assaggiare alla fine muore di fame. E la sfida in fondo è tutta lì: fra essere amici di Trump ed essere amici del giaguaro esiste una terza via possibile fra i trumpiani europei? In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.