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La scommessa vinta
Il Portogallo va a destra: vince il popolare Montenegro
A Lisbona avanza l’estremista Ventura, sprofondano il Ps e la sinistra. Ora le destre unite hanno i due terzi del Parlamento e – se volessero– potrebbero cambiare la Costituzione
Lisbona. Luís Montenegro ha vinto la sua scommessa. Il primo ministro portoghese e leader di Ad (Alleanza democratica, coalizione di due partiti del gruppo dei Popolari europei: il Psd e il Cds) era stato travolto da una polemica sul conflitto d’interessi della Spinumviva, la società di consulenze della sua famiglia che aveva tra i clienti aziende che lavorano con commesse o concessioni statali. A marzo ha chiesto la fiducia al Parlamento, non l’ha ottenuta, è caduto, ha ripetuto l’esame delle urne e lo ha superato. Ad vince con il 32,7 per cento dei voti e occupa 89 dei 230 seggi dell’Assemblea. All’appello mancano i voti dei portoghesi all’estero, ma il totale non basterà a raggiungere la maggioranza assoluta. I liberali di Il (Iniziativa liberale) migliorano il risultato di un anno fa, ma si fermano al 5,5 per cento e 9 deputati. Per Montenegro sarebbero stati i partner più facili da abbordare. Tra i partiti picconatori, invece, l’unico che l’elettorato intende premiare è Chega, formazione della destra sovranista di André Ventura, che continua la sua lunga marcia: un solo deputato nel 2019, 12 nel 2022, 50 un anno fa e nella prossima legislatura almeno 58 con il 22,6 per cento.
Pesantemente puniti i socialisti del Ps, che corrono il rischio del sorpasso scendendo al terzo posto. Per ora hanno il 23,4 per cento dei voti e lo stesso numero di deputati di Chega. Ma lo scenario ancora più desolante se si guarda a sinistra del Ps, tra i partiti che dieci anni fa fecero l’accordo di governo con António Costa. La coalizione di comunisti e Verdi è al 3 per cento (3 deputati), mentre il Blocco di sinistra sfiora la cacciata dall’Aula (1 deputato). Anche in questo caso, la moderazione va meglio: il piccolo partito progressista Livre, fondato da un ex eurodeputato del Blocco, Rui Tavares, da sempre più aperto al dialogo con gli altri partiti, con il 4,2 per cento elegge 6 deputati (ne aveva quattro).
Resta un dato incontrovertibile: le destre unite hanno i due terzi del Parlamento e, se volessero, potrebbero cambiare la Costituzione. La sinistra, in particolare il Ps non era mai stata così debole e irrilevante nell’Assemblea che pure ha contribuito a formare e plasmare in mezzo secolo di democrazia. Per questo, quando il segretario Pedro Nuno Santos ha parlato alla fine della notte elettorale, tutti sapevano già cosa avrebbe detto: dimissioni. Per lui, Montenegro “non è adatto a governare”, ma sarà una nuova segreteria a decidere che opposizione fare.
A destra, nel frattempo, Montenegro potrebbe avanzare da solo. Se nessun gruppo parlamentare lancia una mozione di sfiducia, il suo programma di governo passa automaticamente. Persino la minacciata Commissione parlamentare d’inchiesta sulla sua Spinumviva, con le sinistre ancora sotto choc, ha buone probabilità di rimanere nel cassetto. Però qualcosa a Chega, per tenersi buono l’unico gruppo parlamentare che si ingrossa a ogni tornata elettorale, bisognerà garantirla. Potrebbe non essere un problema, visto che le destre avranno mano libera su molte nomine, dai giudici della Corte costituzionale ai membri del Consiglio superiore della magistratura, fino ai membri dell’organo di vigilanza dei media. Ventura ha ragione quando, nel suo linguaggio mai rasserenante, dice: “Abbiamo ammazzato il bipartitismo in Portogallo”.
Certamente una soluzione bisognerà trovarla. Questo parlamento non può essere sciolto nei suoi primi sei mesi di vita, né il Presidente della Repubblica può scioglierlo nel semestre finale del suo mandato, che scade a marzo. A gennaio, infatti, i portoghesi voteranno il successore di Marcelo Rebelo de Sousa, che a questo puntoi merita una nota finale. In carica dal 2016, è stato uno dei presidenti più amati. Qui lo chiamano tutti semplicemente Marcelo, oppure il presidente “degli affetti”, dei baci, dei selfie scattati per strada. Era un teorico del “populismo buono”, utile a sottrarre consensi al populismo arrabbiato che avanzava nel resto d’Europa. E invece i suoi mandati passeranno alla storia come quelli dell’ascesa (ir)resistibile di Chega. Forse, dopo l’inchiesta giudiziaria che nel 2023 ha abbattuto l’esecutivo di António Costa e un Parlamento con una maggioranza chiara, un governo d’iniziativa presidenziale si poteva fare. La Costituzione e il prestigio politico conferitogli dall’elezione diretta lo autorizzavano. E invece, per un’idea legittima ma discutibile di cosa sia la democrazia rappresentativa e di cosa si elegga quando si va a votare, Marcelo non ha voluto. Piuttosto che un “rimpasto all’italiana”, ha preferito ridare la parola al popolo allora e ha dovuto ridarla anche stavolta. E il popolo ha deciso.