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crisi e strategie
L'India e il Pakistan sono disposti ad alzare ancora la tensione
Né Nuova Delhi né Islamabad hanno interesse e capacità di sostenere un conflitto prolungato, ma nessun sistema di deterrenza è perfetto. Ed è solo questione di tempo prima che il terrorismo buchi di nuovo le maglie delle difese indiane
La crisi tra India e Pakistan dei giorni scorsi, appena conclusa con un fragile cessate il fuoco, è significativa non tanto per lo scoppio delle ostilità in sé, quanto per le implicazioni sul futuro della regione. La principale lezione emersa è che né Nuova Delhi né Islamabad hanno interesse – né capacità – di sostenere un conflitto prolungato, ma sono oggi disposte a correre rischi ben maggiori rispetto al passato. Diversi elementi lo dimostrano.
Primo, l’India ha reagito agli attentati del 22 aprile a Pahalgam (quando 26 civili sono stati uccisi da un commando terrorista) colpendo in profondità il territorio pachistano, causando a sua volta vittime civili. Sebbene, secondo Nuova Delhi, gli attacchi abbiano preso di mira solo infrastrutture terroristiche, la portata della risposta è stata ben più ampia rispetto al passato. Già nel 2016 e nel 2019, in seguito ad attentati di sospetta matrice pachistana, l’India era intervenuta militarmente, ma con ogni probabilità senza voler infliggere danni rilevanti. Gli attacchi di questi giorni sono stati su una scala completamente diversa e su un pendio molto più inclinato: la contro-reazione pachistana è stata infatti molto più forte che in passato (e con ogni probabilità più forte di quanto Nuova Delhi si aspettasse), con nuove vittime civili e numerose esplosioni in territorio indiano. Anche le operazioni militari successive al cessate il fuoco di sabato scorso hanno confermato l’aumentata propensione al rischio da parte di entrambi.
Secondo, nessuno dei due paesi ha davvero interesse a un conflitto prolungato. Il Pakistan è da anni ingolfato in una profonda crisi economica e politica, che una guerra aggraverebbe ulteriormente, soprattutto contro uno stato militarmente superiore. Inoltre, il più prezioso alleato di Islamabad, la Cina, ha tutto l’interesse a mantenere stabile la regione del Kashmir, dato che una parte del China-Pakistan Economic Corridor (parte della cosiddetta Via della seta), passa attraverso il Kashmir occupato dal Pakistan e collega la Cina con l’Oceano Indiano.
Anche l’India ha molte regioni per evitare un’escalation. Nuova Delhi non può non considerare la possibilità che, in caso di un conflitto prolungato con il Pakistan, la Cina decida di intervenire in sua difesa, anche in maniera indiretta, per esempio mobilitando delle truppe al confine conteso con l’India a sud-est dell’Himalaya. Un simile scenario obbligherebbe Nuova Delhi a schierare ingenti risorse militari ed economiche su due fronti – un incubo strategico. Inoltre, l’India sta cercando di attrarre investimenti esteri presentandosi come un’alternativa stabile alla Cina. Una guerra metterebbe a rischio questa strategia.
Infine, il conflitto e la sua risoluzione ha dimostrato che gli Stati Uniti, nonostante la loro attuale imprevedibilità, possono e vogliono agire da garanti, per scongiurare un’escalation tra due potenze nucleari. Sarebbe stato proprio l’intervento di Washington a facilitare l’apertura delle comunicazioni tra i due paesi.
La crisi di questi giorni prefigura quindi l’Asia meridionale come un altro focolaio di incertezza e imprevedibilità. Se da un lato è chiaro che ci sono forti interessi contrari a un conflitto su larga scala – a cominciare da quelli di India e Pakistan, ma anche le posizioni di America e Cina – dall’altro lato la crescente assertività indiana nella risposta al terrorismo comporta un maggiore rischio di escalation, anche solo a causa di errori involontari da una parte o dall’altra. Poiché nessun sistema di difesa o deterrenza è perfetto, è solo questione di tempo prima che il terrorismo buchi di nuovo le maglie delle difese indiane. E questo, se la storia recente è indicativa, porterà a un ulteriore innalzamento del livello di violenza e, con esso, dei rischi per l’intera regione.
Diego Maiorano
Docente di Storia dell’India
contemporanea all’Università
di Napoli L’Orientale