L'editoriale del direttore

Il Papa, la pace giusta in Ucraina e un futuro gioioso per la Chiesa

Claudio Cerasa

Un Pontefice all’altezza delle sfide del presente, che difende la verità e la libertà, che resiste alle derive secolariste e ai totalitarismi. E’ quello che ci fa sperare Leone XIV, anche nel nome di tre figure chiave del mondo cattolico di oggi e di ieri
 

Difendere l’Ucraina, e poi? Ci sarà tempo per capire che tipo di Papa sarà Robert Francis Prevost. Ci sarà tempo per capire se dietro al volto di Leone XIV si nasconde un Papa progressista, un Papa conservatore, un Papa mediatore. Ci sarà tempo per avventurarsi nella sua idea di dottrina, di teologia, di fede. Ma quello che si può provare a dire già oggi, sul nuovo pontificato, riguarda una serie di caratteristiche da sogno che ci si augura possa avere un Papa interessato alla contemporaneità in modo rivoluzionario, non mosso cioè dall’idea di dover assecondare il secolarismo ma mosso al contrario dall’idea di combattere alcuni virus della modernità, senza accarezzarli. Un Papa moderno, un Papa riformatore, un Papa all’altezza delle sfide del presente non potrà essere evidentemente un Papa interessato solo alla fede, al proselitismo, alla parola di Dio. Dovrà essere, nel mondo dei nostri sogni, un Papa che avrà il compito di muoversi provando a stare in mezzo ad alcune figure ascoltando le quali la Chiesa potrà avere un futuro gioioso. 

 

La prima figura si chiama Gilbert Keith Chesterton, la seconda figura si chiama Gerhard Ludwig Müller, la terza figura si chiama san Filippo Neri. Chesterton, lo sapete, è stato un grande scrittore inglese, eclettico e geniale. E’ stato giornalista, romanziere, saggista, poeta e idealista cristiano, per così dire, e usava l’umorismo e il paradosso per difendere il senso comune, la fede e la libertà. Chesterton sosteneva – lo ha scritto in uno dei suoi libri più famosi, “Ortodossia” – che l’abbandono della fede in Dio non conduce a una neutralità o a un vuoto spirituale, ma apre la porta a una “credulità indiscriminata”. Senza un fondamento trascendente, diceva Chesterton, le persone diventano suscettibili a ideologie, a superstizioni o a mode intellettuali prive di solidità. E in questo senso, difendere la fede non solo come dottrina religiosa ma anche come fondamento della dignità umana, della libertà e della razionalità, può aiutare a trovare qualche risposta solida alle sfide contemporanee e può aiutare a riportare la Chiesa nella sua dimensione naturale: una custode genuina di una tradizione secolare che ha plasmato l’identità e i valori dell’occidente. Ed è in questo senso che quando una società smette di credere in Dio, scriveva ancora Chesterton nel 1908, non è vero che non crede più a nulla, ma finisce per credere a tutto. Chesterton intendeva dire che solo un’istituzione radicata nella verità eterna – come la Chiesa – può salvaguardare la libertà dell’uomo dai condizionamenti culturali, ideologici o politici del momento. Per Chesterton, la Chiesa non è nemica della libertà, ma è una sua custode fedele, difendendo l’individuo dal rischio di essere manipolato da ciò che è “di moda”, dal conformismo mascherato da progresso. La Chiesa, in questa visione, è il baluardo della vera libertà, non il suo ostacolo. Niente male, no?

 

Uno degli interpreti più genuini della visione chestertoniana della modernità, negli ultimi anni, è stato uno dei cardinali presenti nel Conclave, Gerhard Ludwig Müller, che in un libro pubblicato due anni fa da Solferino, “In buona fede. La religione nel XXI secolo”, ha aggiunto un tassello in più per dare forma all’idea che difendere fino in fondo il cristianesimo significhi anche difendere fino in fondo l’occidente. Müller lo dice in modo esplicito: il fine ultimo del cristianesimo è esattamente lo stesso che deve perseguire chi ama l’occidente, ovverosia combattere la “massa molle”, contrastare la propagazione di una collettività che non pensa, che non giudica, che non distingue più. Müller ritiene che la Chiesa non possa restare neutrale di fronte a questo scenario. Se tace, diventa complice. Se parla in modo ambiguo, smarrisce il suo compito profetico. E non è solo una norma etica, ma una strategia di resistenza culturale. Il linguaggio della Chiesa, secondo Müller, deve rifiutare la neutralizzazione della verità e per questo deve chiamare le cose con il loro nome (“Il vostro parlare sia sì sì, no no”, Mt 5,37). E per farlo occorre mettere al centro della dottrina la persona umana – non lo stato, non il partito, non la massa – come luogo di verità. Sostiene Müller che questa sia una concezione radicalmente cristiana e profondamente antitotalitaria: l’uomo ha una coscienza, la coscienza è libera e nessun potere può sostituirsi a essa. Müller aggiunge poi che il pericolo del presente non è più il totalitarismo militare, bensì il totalitarismo morbido di una società che dissolve la coscienza in un relativismo senza spina dorsale. Il tecnocapitalismo che pretende di ingegnerizzare la natura umana; il wokismo che impone una ortodossia progressista con mezzi moralistici; il nazionalismo religioso che sacralizza l’identità contro l’universalismo cristiano. Tutti questi fenomeni, secondo Müller, hanno in comune la tentazione di sostituire la coscienza personale con un’identità collettiva obbligatoria. E la vera alternativa a questa deriva secolarista non è una nuova ideologia ma è una Chiesa che formi coscienze libere, che insegni a educare alla responsabilità, a distinguere il bene dal male, a denunciare ciò che umilia l’uomo. La Chiesa, dice sempre Müller, non può diventare una piattaforma dialettica che ospita tutte le opinioni: deve custodire la verità che ha ricevuto. E proprio per questo – paradossalmente – può difendere anche la libertà di chi non crede, perché sa che la verità non si impone con la forza. Ed è per questo che il totalitarismo – ieri politico, oggi culturale o tecnologico – è la grande eresia del nostro tempo. E resistergli, dice ancora Müller, è parte essenziale della vocazione cristiana. Müller fa un esempio: il caso di Taiwan. La Chiesa del futuro, dice in modo polemico rispetto alla dottrina Francesco-Parolin, “dovrebbe appoggiare il popolo di Taiwan nel suo diritto all’autodeterminazione: è un popolo che vive in un sistema democratico e che democraticamente ha espresso di non voler diventare parte della Cina ed essere assorbito dal governo unico di Pechino, esattamente come gli ucraini che non vogliono entrare a far parte della Russia. A noi cristiani viene chiesto di difendere i princìpi della verità e della giustizia in ogni parte del mondo. In caso contrario, la Santa Sede rischia di finire partner di un terribile gioco di potere. San Paolo nella lettera a Timoteo dice che la colonna della verità trionferà. Tutti gli stati hanno interessi materiali, di potere, di denaro da difendere. La Chiesa spero abbia la lucidità di mantenere ferma la sua posizione super partes, priva di interessi egoistici, basata solo sulla luce della Parola di Dio. Perché è proprio il vuoto religioso – la mancanza di un ‘rapporto vivo con Dio’ – ad aprire nella società un grande vacuum che viene riempito da disperazione e surrogati politici o utopistici”. In un tempo in cui la Chiesa rischia di trasformarsi in una ong e in cui il cristianesimo viene ridotto a codice etico, la lezione di Müller è chiara: “Senza verità non c’è libertà, senza coscienza non c’è uomo, senza martirio non c’è fede”. E per questo, le sfide future della Chiesa possono essere messe in parallelo con le sfide necessarie per difendere l’occidente contemporaneo. Niente male, no?

 

Il terzo nome da mantenere centrale per il nuovo Pontificato, per quello dei sogni, se si vuole considerare il nuovo Pontificato come un argine non solo alla secolarizzazione ma anche alle minacce totalitarie veicolate dai nemici della libertà, è quello di san Filippo Neri. Giorni fa, sul Wall Street Journal, Peggy Noonan ha offerto uno spunto di riflessione interessante, ragionando sul successore di Francesco. Ha scritto che il Conclave avrebbe dovuto tenere a mente proprio san Filippo Neri, patrono della gioia, a volte chiamato persino il patrono del riso, per tutto quello che san Filippo Neri rappresenta: un santo della gioia, non del rancore, un riformatore concreto e un allegro maestro del cuore. Alla Chiesa del futuro, scrive Noonan, serve la sua leggerezza, la sua libertà, la sua capacità di rendere Dio amabile, per fuggire dalla stagione del catastrofismo, per entrare nella stagione della gioia, per avere fiducia nel futuro, per difendere la Chiesa dal secolarismo, per difendere la libertà dai suo nemici, per andare controcorrente, perché l’occidente libero per avere futuro ha bisogno di coltivare gli stessi valori non negoziabili del cristianesimo: combattere il nichilismo riscoprendo la propria capacità di difendere la libertà dell’individuo. Ieri Papa Leo, durante il Regina Coeli, ha utilizzato delle parole incoraggianti, che lasciano intendere una direzione di marcia coraggiosa. Leone XIV, ieri, ha parlato di medio oriente, lanciando un appello su Gaza, senza dimenticarsi di rivolgere un pensiero agli ostaggi (siano “liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie”). Il Papa poi ha detto di portare “nel cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino” e ha chiesto che “si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura”, e il fatto di aver aggiunto l’aggettivo “giusta” accanto a “duratura” di solito è il sintomo di chi sogna una fine delle ostilità diversa da una resa, diversa da una bandiera bianca. Difendere la chiesa dai suoi nemici. Difendere l’occidente dai suoi aggressori. Vale oggi per chi crede nel futuro della Chiesa di oggi, vale domani per chi crede ancora al futuro dell’occidente. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.