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le alleanze
La nuova rete di sostegno al Pakistan passa per Turchia e Cina
Erdogan ha dichiarato il proprio supporto nei confronti dell’alleato pachistano, inviando verso i porti e gli aeroporti una nave militare e sei aerei da combattimento. Mentre Pechino (che ha investito decine di miliardi di dollari nel paese) è parte in causa per quanto riguarda la contesa relativa al Kashmir. Gli attori che si muovono dietro le quinte
Il nuovo pesante round scontri in corso tra India e Pakistan dimostra una volta di più quanto il confronto tra Nuova Delhi e Islamabad sia anche il confronto tra gli attori che operano dietro le quinte nella regione. Allontanandosi il più possibile dalle ricostruzioni complottiste dello scontro militare per procura, per capire la portata della dinamica basterebbe un esempio: sin dall’inizio di questa ennesima fase turbolenta, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato il proprio supporto nei confronti dell’alleato pachistano, condannando i raid indiani. Dichiarazioni a cui ha fatto seguito l’invio verso i porti e gli aeroporti pachistani da parte delle Forze armate turche di una nave militare e di sei aerei da combattimento.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dimostrato di voler tenere fede agli accordi siglati nel corso degli ultimi anni. Nel periodo compreso tra il 2016 e il 2019, infatti, la Turchia ha ampliato notevolmente la propria cooperazione militare con il Pakistan, concludendo intese legate anche all’ammodernamento della Marina nazionale pachistana. Un modo per strappare ricchi contratti, perché il Pakistan, nonostante la crisi economica, trova sempre fondi per armarsi, e allo stesso tempo per aumentare l’influenza della Mezzaluna nel mondo musulmano. Contestualmente Ankara ha ridotto ai minimi termini la relazione bilaterale sul fronte della sicurezza con Delhi, con il culmine nel 2024 con l’embargo totale sulle esportazioni turche di armi ed equipaggiamenti militari verso l’India. L’abbraccio sempre più stretto tra Turchia e Pakistan ha portato il gigante indiano a rispondere andando a sua volta a toccare una zona molto sensibile agli occhi turchi. A maggio 2024, durante la visita del capo delle Forze armate greche in India, Delhi e Atene hanno siglato un accordo di cooperazione molto vasto nell’ambito della Difesa.
A questa dinamica se ne associa una molto più ampia che interessa da qualche anno i due contendenti: il cambiamento in atto dei loro principali partner dal punto di vista militare. Come riportato dal New York Times, se fino al 2010 il fornitore numero uno di armi all’India era la Russia (che copriva il 75 per cento delle importazioni indiane totali), la situazione odierna è molto diversa, con Mosca che copre solo il 36 per cento, ed è seguita a ruota dalla Francia col 33 per cento, e, più staccate, Israele e Stati Uniti. La situazione è speculare per il Pakistan, che nel periodo 2006-2010 si riforniva per oltre un terzo dei propri acquisti di armi da Cina e Stati Uniti, appaiati al 36 per cento, mentre nell’intervallo 2020-2024 Pechino è schizzata all’81 per cento e Washington è precipitata a livelli infinitesimali.
Questa gara che si gioca nelle retrovie influenza ovviamente quella che si svolge sotto ai riflettori. In un continuo bilanciamento e controbilanciamento, la Cina ora è strettissima alleata del Pakistan, paese in cui ha investito decine di miliardi di dollari, anche in chiave anti-indiana; gli Stati Uniti negli ultimi anni hanno preso un po’ le distanze da Islamabad, non più così fondamentale agli occhi del Pentagono dopo la fine del conflitto in Afghanistan e il ritorno al potere dei Talebani, per concentrarsi sull’India anche in ottica di contenimento dell’attivismo regionale cinese. Pechino oltretutto è a sua volta parte in causa per quanto riguarda la contesa relativamente al Kashmir, perché la Repubblica popolare controlla una zona d’alta quota e scarsamente popolata nella parte settentrionale della regione.
La vicinanza e l’apparente grande intesa tra il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente americano Donald Trump corre inevitabilmente anche lungo il confine indo-pachistano, ma quella è anche una delle linee di faglia politiche che più mettono a rischio la stabilità globale: per gestirla, serve un grande equilibrio.