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L'editoriale del direttore

Modello tedesco? No, italiano

Claudio Cerasa

La Germania che scopre i franchi tiratori, prima della fiducia a Merz, e poi i governi di minoranza in mezzo continente. Nell’Europa che si italianizza, l’oasi di stabilità è l’Italia. Lezioni utili e sogni per il futuro: il maggioritario

Lo spettacolo è quello che è, lo sappiamo, ed è uno spettacolo che, come dire, non si può definire esattamente eccitante, quello che va in onda da settimane sui canali europei. Lo spettacolo è fatto di piccoli pezzi, di piccole scene, e in quello spettacolo non si può non mettere dentro tutto. Non si può non mettere la storia del Parlamento tedesco, che per la prima volta, ieri, non ha espresso al primo colpo la fiducia a un cancelliere in pectore, causa franchi tiratori nella maggioranza, salvo poi rifarsi nel pomeriggio con un voto riparatorio e risolutivo. Non si può non mettere la storia dei servizi segreti tedeschi, ancora, che hanno dichiarato praticamente fuori legge un partito tedesco, l’AfD, che incidentalmente è anche il partito che gode dei sondaggi migliori in Germania e contro cui è nata la maggioranza ballerina a sostegno di Friedrich Merz.

 

         

 

Non si può non mettere la storia dell’estremista di destra Calin Georgescu bannato dalla Corte costituzionale del suo paese dopo aver vinto le presidenziali in Romania e ora divenuto il possibile candidato premier del suo successore George Simion, che si è affermato al primo turno alle nuove presidenziali romene e si giocherà il posto da presidente il prossimo 18 maggio. Lo spettacolo è quello che è, lo sappiamo, e l’europeismo politico, in vista della festa dell’Europa, arriva con ideali forti ma con qualche acciacco politico evidente. Ma in questo spettacolo non esattamente eccitante esiste un elemento gustoso che riguarda un tema che ha a che fare con l’Italia di oggi, con quella di ieri e con quella di domani. La questione è semplice. A differenza del resto d’Europa, l’Italia, in questi anni, è riuscita a domare l’estremismo, non bannandolo, non vietandolo, ma mettendolo alla prova, testandolo al governo, rigirandolo come un calzino in Parlamento e mostrando semplicemente la sua incompatibilità con la realtà, mettendo in atto un esperimento che prima o poi dovranno tentare anche paesi che l’estremismo invece cercano di limitarlo alzando solo muri. 

A differenza del resto d’Europa, poi, l’Italia ha sperimentato l’instabilità quando gli altri paesi ancora vivevano sugli alberi, per dirla mutuando un famoso e ruvido aforisma del compianto Ciarrapico, e l’italianizzazione della politica europea ha avuto l’effetto di mettere in difficoltà molti paesi in Europa tranne quello che  ha esportato il suo modello di instabilità fuori dai propri confini, ovvero l’Italia. C’è il caso della Germania, naturalmente, che ieri per qualche ora si è ritrovata a fare i conti con un fenomeno che ha movimentato per decenni la politica italiana, come i franchi tiratori, specializzati nell’impallinare nel voto segreto i propri compagni di partito.

C’è il caso della Francia, poi, che da più di un anno deve districarsi con il pallottoliere in Parlamento, avendo di fronte a sé il presidente Emmanuel Macron un governo sorretto da una minoranza litigiosa, equilibrista e molto complicata da gestire. C’è il caso di un altro famoso governo di minoranza, quello spagnolo, guidato da Pedro Sánchez, che da due legislature cerca ogni giorno di trovare soluzioni creative e spericolate per poter guidare il proprio paese. E lo stesso si potrebbe dire per quanto riguarda il Portogallo (che ha un governo di minoranza), per quanto riguarda la Svezia (che ha un governo di minoranza). E lo stesso si potrebbe dire, a proposito di instabilità, per quel che ha visto negli ultimi anni lo stabilissimo Regno Unito, che negli ultimi cinque anni ha avuto la bellezza di quattro primi ministri.

Nel passato recente, l’Italia è riuscita a governare la sua cronica instabilità grazie all’arte magica del trasformismo, senza il quale il nostro paese non avrebbe mai normalizzato il populismo per via parlamentare. Nel presente, invece, l’Italia è riuscita a diventare un modello, anche per i paesi instabili, non solo per la sua maggioranza stabile, caratteristica che oggi pochi paesi in Europa possono vantare, ma anche per essere diventata il simbolo di un paese guidato da forze politiche in grado, una volta arrivate al governo, di essere in discontinuità con il proprio populismo del passato, ed è significativo in questo senso che il vincitore del primo turno alle elezioni romene pur essendo legato politicamente al candidato bannato dalla Corte costituzionale romena per via del suo legame con la Russia abbia tenuto a dire non solo che “i russi sono criminali” ma anche che il suo modello politico in Europa è Giorgia Meloni lasciando intendere che i populismi possono cambiare rotta anche in un paese come la Romania infestato da troll russi.

In un’Europa che si sta italianizzando, l’Italia è diventata un modello di stabilità per quello che ha fatto nel passato, per quello che sta facendo nel presente e per quello che potrebbe fare nel futuro (anche se poi la stabilità andrebbe trasformata in oro, in crescita e in opportunità, ma questa è un’altra storia). E in questo senso, alla luce delle fragilità europee, alla luce della frammentazione dei partiti in Europa, alla luce dell’instabilità che potenzialmente minaccia il cammino anche delle locomotive d’Europa, Germania compresa, l’Italia avrebbe tutte le carte per diventare un modello anche per quello che potrebbe fare nel futuro, se mai il nostro Parlamento decidesse di prendere sul serio un progetto di riforma della maggioranza guidata da Meloni che meriterebbe mai come oggi di uscire allo scoperto. In sintesi: cosa c’è di meglio di una  legge elettorale con una spruzzata di sano maggioritario per permettere all’Italia di non perdere anche nel futuro la sua magica e ritrovata stabilità?

In un mondo come quello europeo con ideali molto forti, ma partiti molto deboli, creare le condizioni per dare alle coalizioni in grado di vincere le elezioni (metti con un 40-45 per cento di consenso ottenuto alle urne) un pizzico di vantaggio in più rispetto ai rivali (metti un cinquantacinque per cento dei seggi) rinunciando magari, come sembra voler fare il governo, ai collegi uninominali, aiuterebbe non solo a tenere a debita distanza tentazioni più spericolate (come il modello presidenziale o come il famoso premierato) ma a garantire all’Italia nel futuro di essere un paese stabile non solo grazie alla sua abilità a governare le instabilità del presente ma anche grazie alla sua capacità di governare per legge le sue instabilità del futuro. Lunga vita a Merz, lunga vita all’Europa italianizzata, lunga vita al nuovo, al vecchio e al futuro pazzo ma efficace e stabile modello italiano.
 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.