
Ansa
In turchia
Il processo di pace tra Erdogan e il Pkk ha due dimensioni. Le tappe
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan dovrebbe presto riunirsi in congresso e decretare il proprio scioglimento, rispondendo alla chiamata di Ocalan. Mentre il presidente turco, in crisi di consensi e con l’opposizione sugli scudi dopo l’arresto di Imamoglu, vuole poter sbandierare la dissoluzione del gruppo armato in campagna elettorale
Mentre i riflettori sono puntati sull’arresto di Ekrem Imamoglu, prosegue dietro le quinte il processo di pace tra lo stato turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Concluso il giro di consultazioni con le altre forze politiche, la delegazione del partito filocurdo Dem, che agisce da mediatore tra il Pkk e il governo, ha incontrato a inizio aprile il presidente Erdogan. A fine febbraio, dal carcere di Imrali, dove è rinchiuso dal 1999, il leader del Pkk Abdullah Ocalan ha chiesto ai suoi uomini di porre fine alla lotta armata, segnando un punto di svolta in un conflitto che in quarant’anni ha causato quarantamila morti. Intervistata dal Foglio, Ceylan Akca Cupolo, parlamentare del Dem eletta a Diyarbakir, sostiene che “nella mia regione, la gente rimane cauta. Ci sono stati molti altri colloqui, tutti falliti. Le persone vogliono che questo conflitto si concluda con una risoluzione rapida e pacifica. Il bagno di sangue deve finire”. Dall’inizio del dialogo, i presagi non sono stati dei migliori. In pochi mesi, sia Devlet Bahceli, leader del partito nazionalista Mhp e fondatore dei lupi grigi, sia Sirri Sureyya Onder, vicepresidente del Parlamento e membro di spicco della delegazione del Dem che ha potuto visitare Ocalan, hanno avuto gravi problemi di salute. Entrambi sono cruciali per il processo di pace, come osserva Ceylan Akca Cupolo: “La gente mi chiede rassicurazioni sullo stato di salute di Bahceli. Non vuole che gli accada qualcosa prima che il processo vada in porto”.
Il Pkk dovrebbe presto riunirsi in congresso e decretare il proprio scioglimento, rispondendo alla chiamata di Ocalan. Tuttavia, per far sì che ciò accada, i guerriglieri chiedono che Ocalan possa guidare il congresso. Per Ankara invece, ogni concessione è subordinata allo scioglimento del Pkk, e vuole che si faccia in fretta. Hakan Fidan, ministro degli Esteri, ha minacciato: “Come accaduto con lo Stato islamico, anche il Pkk, volontariamente o no, cesserà di esistere”. Erdogan, in crisi di consensi e con l’opposizione sugli scudi dopo l’arresto di Imamoglu, vuole poter sbandierare la dissoluzione del gruppo armato in campagna elettorale. La narrativa ufficiale ha da subito presentato il processo di pace come un’iniziativa volta a “liberare la Turchia dal terrore”, uno slogan che mira a placare i malumori delle componenti nazionaliste alla luce della necessità numerica di coinvolgere il partito filocurdo nella modifica della costituzione. Erdogan ha esaurito i due mandati e non potrebbe ricandidarsi. “Non so fino a che punto si tratti di un’iniziativa di pace, non vedo il governo interessato a concessioni reali al movimento curdo”, dice al Foglio Berk Esen, professore di scienze politiche dell’Università Sabanci di Istanbul. Al momento infatti, non vengono menzionate concessioni sostanziali come il riconoscimento della lingua curda nei servizi pubblici, o la definizione di nazionalità.
Per i curdi, la questione travalica i confini nazionali. A beneficiare del processo di pace sembra essere soprattutto l’amministrazione autonoma della Siria del nordest, o Rojava, l’entità controllata dai curdi siriani. Erdogan si è reso conto di poter rafforzare il fronte interno offrendo ai curdi del Rojava una prospettiva di pace e integrazione nel nuovo stato siriano. In cambio, vuole la fine delle utopie autonomiste curde e la dissoluzione del Pkk. Per la Turchia, la stabilizzazione del contesto siriano è divenuta una priorità dopo la caduta del regime di Bashar el Assad. Le milizie filocurde siriane delle Ypg, considerate dalla Turchia un’emanazione del Pkk, controllano quasi un terzo del territorio nazionale e sono alleate degli Stati Uniti. “La Turchia si è trovata costretta ad avviare questo processo – sostiene Ceylan Akca Cupolo – dovendo affrontare la questione curda su scala internazionale, e non più come mera questione domestica”. Su questo fronte, i dividendi del processo di pace cominciano a dare i loro frutti. Gli accordi tra le forze curde e il governo di Damasco per la gestione congiunta della sicurezza ad Aleppo e alla diga di Tishreen reggono. Prima della storica conferenza tenutasi nel weekend a Qamishlo, nel nord-est della Siria, dove si sono incontrate le varie componenti regionali del movimento curdo, Mazloum Abdi, leader dei curdi siriani, ha incontrato a Erbil, nel Kurdistan iracheno, il ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot. Secondo Al-Monitor, i funzionari turchi hanno accolto con favore la notizia: fino a pochi mesi fa, sarebbe stato impensabile.