
Anche in Australia Trump è diventato il “terzo candidato” alle elezioni. L'effetto dazi
In pochi mesi il Partito laburista al governo da una posizione di svantaggio ha superato il partito conservatore di opposizione di Peter Dutton. Così il "liberation day" trumpiano ha cambiato le elezioni australiane
Come in Canada, anche in Australia la campagna elettorale è stata influenzata dalle politiche commerciali di Donald Trump. Sabato 3 maggio si terranno le elezioni australiane e, secondo i sondaggi, negli ultimi tre mesi il Partito laburista al governo da una posizione di svantaggio ha superato il partito di opposizione di Peter Dutton – il nome della sua coalizione è “Liberal-National” ed è conservatrice. Se in un primo momento Dutton ha accolto positivamente la vittoria di Trump e come un’occasione per cavalcare il populismo Maga – aveva paragonato le elezioni americane a quelle australiane, puntando tutto sull’immigrazione e le politiche anti woke, avanzando rispetto ai laburisti al governo – poi con i dazi è cambiato tutto.
Dopo aver descritto Donald Trump come “un grande pensatore e uomo d’affari” e aver nominato la senatrice Jacinta Price come suo ministro ombra per l’Efficienza governativa (ricalcando il Doge di Musk), la coalizione conservatrice è crollata nei sondaggi: per gli australiani Dutton è diventato improvvisamente troppo trumpiano, conquistandosi il soprannome di “Temu Trump”, la versione cinese del presidente americano. Trump è stato una “palla da demolizione” per i conservatori australiani, ha detto l’ex portavoce del primo ministro del partito liberale Scott Morrison: “Gli elettori australiani guardano con preoccupazione a quanto sta accadendo e dicono che se questo è il cambiamento, allora non lo vogliamo”. Non che gli australiani fossero particolarmente contenti del governo laburista, anzi: Anthony Albanese, che si candida per la rielezione, con la sua vittoria nel 2022 aveva promesso di abbassare il costo della vita e invece la preoccupazione dell’elettorato rimane il costo della vita, l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e la carenza di alloggi. Eppure l’annuncio di Trump di dazi sull’acciaio e sull’alluminio a marzo e poi i dazi “reciproci” al 10 per cento lo scorso 2 aprile hanno allarmato gli australiani ritrovando in Albanese un argine al pericolo trumpiano, che ha sin da subito definito la decisione americana “un atto di autolesionismo economico ingiustificato”.
Al contrario, Peter Dutton ha reagito addossando le colpe della decisione americana all’avversario e affermando che il suo approccio sarebbe stato quello di incontrare Trump di persona e raggiungere un accordo, di fatto allontanando la fiducia negli elettori e facendo balzare Albanese nei sondaggi. Secondo una rilevazione pubblicata due settimane fa dal think tank Lowy Institute, solo il 36 per cento degli australiani ha espresso fiducia nel fatto che gli Stati Uniti agiscano in modo responsabile, in calo di 20 punti rispetto all’ultimo sondaggio di giugno 2024 – il più basso di sempre. Un altro sondaggio del Resolve Monitor ha riportato che il 35 per cento degli elettori indecisi è meno propenso a sostenere Dutton a causa dei cambiamenti apportati da Trump, rispetto al 24 per cento di Anthony Albanese.
La coalizione conservatrice è corsa ai ripari ridimensionando l’ottimismo nei confronti del presidente americano e abbandonando alcune proposte, come quella di costringere i dipendenti pubblici a tornare in ufficio. Al voto gli australiano daranno una misura alla loro preoccupazione, ma quel che è certo è che in Australia la fiducia negli Stati Uniti non era mai stata tanto bassa. Trump è diventato il “terzo candidato” di questa campagna elettorale in modo negativo e speculare alle elezioni canadesi: l’Australia è una nazione con una stretta alleanza strategica con gli Stati Uniti pur mantenendo forti relazioni commerciali con la Cina, e una guerra commerciale preoccupa gli elettori già insofferenti.