La sentenza

I giudici condannano Yoon Suk-yeol, la Corea del sud si prepara al voto

Dalla legge marziale all'impeachment

Giulia Pompili

La Corte costituzionale dopo quasi quaranta giorni decide all'unanimità per deporre l'ormai ex presidente, ma offre una lezione anche all'opposizione. I danni del populismo politico e le istituzioni democratiche costrette a intervenire

Alla fine la sentenza è arrivata. Da più di cento giorni i sudcoreani aspettavano che i giudici della Corte costituzionale decidessero il destino di Yoon Suk-yeol, presidente sospeso da mesi dopo che il 3 dicembre del 2024 aveva dichiarato la legge marziale, creando un caos politico e istituzionale senza precedenti. All’unanimità, la Corte ha deciso che Yoon “ha violato il suo dovere di comandante in capo della nazione quando ha inviato le truppe all'Assemblea nazionale”, ha violato “i diritti dei cittadini e danneggiato l’ordine della Repubblica di Corea”. E’ stato confermato l’impeachment, dunque, ma non era così scontato: da giorni le autorità si preparavano a grosse manifestazioni di protesta, le scuole attorno alla Corte costituzionale ieri erano state chiuse e anche diverse attività commerciali. 

 

La difesa di Yoon – non è un tradimento perché è nei miei poteri di presidente dichiarare la legge marziale sulla base delle mie valutazioni – sembrava poter in qualche modo convincere almeno in parte i giudici. Di sicuro aveva convinto la base dei suoi sostenitori, che avevano ripreso gran parte dell'estetica MAGA di Donald Trump per parlare di un complotto contro "il salvatore della nazione".

 

La Corte si è presa 38 giorni per studiare il caso, ha valutato che non ci fosse un’emergenza nazionale tale da giustificare la dichiarazione della legge marziale, ha deciso che in ogni caso non può essere dichiarata “in modo preventivo”, ma nel testo della sentenza ha anche accusato i partiti d’opposizione, che con 22 richieste d’impeachment contro il presidente hanno, di fatto, usato uno strumento costituzionale per motivi politici. Tra qualche giorno il presidente ad interim Han Duck-soo ufficializzerà il giorno delle elezioni, che si terranno probabilmente il 3 giugno.  E forse si chiuderà così uno dei periodi politici più complessi e controversi della Repubblica di Corea, cioè la totale capitolazione della politica al populismo e un paese intero salvato non dalla responsabilità personale dei politici ma dalla tenuta delle istituzioni democratiche. Una lezione anche per le altre democrazie liberali nel mondo.

 

In Corea del sud ora si riapre la campagna elettorale, con il People Power Party, il partito di governo di Yoon, che dovrà cercare un nome per presentarsi, e il Partito democratico pronto a capitalizzare le accuse contro i conservatori. Lee Jae-myun, leader del Partito democratico, ha detto che “questa tragedia della nostra storia costituzionale non deve mai più ripetersi. La comunità politica, me compreso, deve riflettere e assumersi la piena responsabilità”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.