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dopo il voto in america

Autopsia di una sconfitta, da sinistra

Giulio Silvano

I democratici sono andati troppo al centro e hanno preteso di corteggiare i repubblicani, i più tribali. Ci vuole un populista di sinistra per tornare a essere il partito dei lavoratori. Interviste radicali

Washington. E’ il momento dell’autoanalisi, dicono i democratici. Ma visti i risultati di queste elezioni, forse è più utile un’autopsia. Bisogna capire di cos’è morto un partito che per vent’anni a ogni presidenziale ha sempre ottenuto il voto popolare, cioè la maggioranza effettiva degli elettori, anche quando il loro candidato perdeva. Chiediamo di fare questa autopsia a Chris Lehmann, responsabile della redazione politica  della rivista di sinistra The Nation, e a David Corn, commentatore dell’Nbc e capo dell’ufficio di Washington della rivista progressista Mother Jones. Chiediamo alla sinistra di cos’è morto l’asinello. Kamala Harris, che ha avuto solo un centinaio di giorni per fare una campagna elettorale sfidando Donald Trump, era la candidata sbagliata? “Non penso”, dice Lehmann al Foglio, “ma è chiaro che a posteriori Joe Biden non si sarebbe mai dovuto ricandidare e il partito avrebbe dovuto tenere delle primarie tradizionali per scegliere il candidato. Nonostante tutti i vincoli che ha avuto, Harris ha fatto un’ottima campagna, ma adesso viviamo in un regime politico-informativo dove la metrica (il porta a porta, gli spot televisivi, gli inviti al voto) non hanno spostato l’ago come una volta. I due più grandi errori di questa campagna sono stati: non essere più aggressivi sul populismo economico (antitrust, regolare Wall Street e il big tech, sottolineare la massa di oligarchi e miliardari dietro Trump), e poi fare la corte al mitologico voto dei repubblicani disillusi. I repubblicani non escono praticamente mai fuori dalla loro formazione tribale, una differenza chiave coi democratici”. Secondo Corn c’è stato un altro problema che Kamala Harris non poteva risolvere: “Essere troppo legata all’Amministrazione Biden. Gran parte del paese era inacidita, anche se l’economia sta migliorando. Questi elettori volevano un cambiamento, e lei ci ha provato a presentarsi come la novità, ma è stato molto difficile separarsi da Biden. E poi, anche questo non è colpa sua, è una donna nera, e non c’è dubbio che il razzismo e la misoginia abbiano avuto un ruolo”, dice Corn. Dopo la sconfitta di Harris il senatore Bernie Sanders, guida della sinistra americana, ha detto che non ci si dovrebbe sorprendere se il partito ha perso la classe operaia, dato che l’ha abbandonata. “Però – dice Corn – Biden ha fatto molto per la working class. Ha rafforzato i sindacati e ha protetto i fondi pensionistici, ed è stato il primo a fare picchettaggio. Nessun presidente ha fatto tanto quanto lui. La classe operaia ha beneficiato molto dalle sue leggi. Eppure, come i democratici prima di lui, non ha avuto successo nel far passare questo messaggio a molti elettori che erano più esaltati dagli attacchi trumpiani alla culture war, agli immigrati e alle élite. Nessuno è stato abbandonato. Ma i democratici devono ripensare a come gestire il rapporto con la classe lavoratrice”. Lehmann invece, che ha scritto vari libri di critica sociale sul tema, è più radicale: “Questa diserzione della classe lavoratrice è stata architettata dall’élite del partito negli ultimi quarant’anni, e non verrà cambiata con i messaggi elettorali. Il partito deve essere ricostruito da zero come partito dei lavoratori, con forti radici nei sindacati. Con la democrazia di massa che si ossifica in oligarchia bisogna ripartire dai movimenti. Non c’è una panacea da consulenti o un qualche strano trucchetto di marketing per evitarsi questo lavoraccio, l’unico modo per combattere questo ipocrita populismo razziale-culturale della destra è proporre un populismo economico di sinistra”. Un Trump marxista, insomma, per riprendersi il proletariato rurale. Ma anche Lehmann è d’accordo che Biden è stato un buon presidente, “però ho paura che la sua legacy sarà più simile a quella di re Lear che non a quella di Franklin D. Roosevelt”, ci dice: “La funzione principale di un partito politico è evitare che gli aspiranti leader si autoingannino con illusioni pericolose o distruttive. Nancy Pelosi è riuscita a obbligare Biden a vedere la realtà, ma temo che lo abbia fatto troppo tardi perché avesse un effetto sulle elezioni”.  

Con Bernie Sanders la parola socialismo ha smesso di essere una parolaccia in America. Poi però anche quel momento è sembrato passare. La Squad della deputata Alexandria Ocasio-Cortez è passata di moda e Harris ha parlato più volte della sua glock e di sparare agli intrusi in casa, ammiccando ai repubblicani. Secondo Lehmann però questo entusiasmo socialista è stato ucciso nel 2020, quando tutti i candidati democratici alle primarie si sono uniti per cacciare Sanders dalla scena e scegliere invece Biden. “Ocasio-Cortez e la Squad sono stati usati brevemente dall’establishment democratico come una specie di spot commerciale per ottenere i voti dei giovani, mostrando un’opzione riformista. Ma appena sono andati contro l’ortodossia del partito sono stati fatti fuori”. E Barack Obama, è stata solo una parentesi di otto anni tra Bush e Trump? “E’ stato un miraggio. Obama non è stato un buon presidente, e la stagnazione di gran parte dei democratici nasce dall’incapacità di riconoscere questo fatto basilare”, dice Lehmann. 

Dopo il voto il deputato democratico Ritchie Torres ha detto che “Trump non ha amici migliori dell’estrema sinistra”, perché sono riusciti ad alienare il voto delle minoranze con la politica identitaria. Ma, ci dice Corn, forse è un po’ esagerato, “perché la sinistra estrema in America non ha molta influenza. Però è sicuramente possibile che alcuni latinos siano stati allontanati dalle politiche identitarie. Ma soprattutto molti elettori bianchi, in particolare maschi, si sono risentiti davanti a programmi dedicati ad affrontare razzismo, misoginia e ineguaglianze sociali di vecchia data. E i trumpiani hanno sfruttato la cosa”. Secondo Lehmann, “i democratici avrebbero potuto fare di più per restringere la retorica di alcuni gruppi identitari, ma non sarebbe stato sufficiente per limitare il massiccio riallineamento della classe lavoratrice verso destra”. E poi, aggiunge il giornalista di The Nation: “Un modo per capire il ginepraio in cui si sono cacciati i democratici è rendersi conto che nel 2016 entrambi i partiti si sono trovati davanti a delle insurrezioni. Se il Partito democratico ha accolto la sua, i democratici hanno ucciso la loro. La migrazione degli elettori della working class verso Trump è la costante ricaduta di queste strategie divergenti”. Un partito ha accolto la novità, l’altro ha cercato di zittirla. Non puntare sui moderati, quindi, ma spostarsi a sinistra. E poi, ricordare che il fascino trumpiano e l’attrattiva Maga sono molto difficili da battere. A fare l’autopsia dei democratici con alcuni giornalisti della sinistra americana la diagnosi è: ha stato il neoliberismo.

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