Screenshot da un video Youtube e Foto Ansa

Paragoni

Nixon, Biden e cinquant'anni d'influenza della stampa sui presidenti

Marco Bardazzi

Mezzo secolo fa andava in onda il discorso nel quale Nixon annunciava le sue dimissioni. Qualche settimana fa, dallo stesso studio ovale, Biden ha rinunciato a un secondo mandato: due addii dalle motivazioni molto diverse, ma entrambi causati dai media

C’erano 110 milioni di americani quella sera davanti agli schermi delle TV. Famiglie intere riunite nel salotto di casa e folle di passanti ammassati davanti alle vetrine dei negozi di elettrodomestici, aperti nonostante fossero le 21 ora di Washington. Richard Nixon parlava all’America dallo Studio Ovale a reti unificate (che all’epoca significava Ab, Cbs e Nbc) e nonostante l’audience enorme, quell’8 agosto del 1974 non riuscì a stabilire un record d’ascolto: lo sbarco sulla Luna del 1969, con i suoi 125 milioni di spettatori, restava imbattibile. Fu un altro piccolo smacco per un presidente che cinquant’anni fa se ne andava in disgrazia. L’unica volta nella storia degli Stati Uniti che l’inquilino della Casa Bianca era stato costretto a dimettersi. Mezzo secolo dopo, un’America in piena campagna elettorale non dedica che qualche documentario e alcuni articoli di giornale all’anniversario delle dimissioni di Nixon. Ma l’evento che andò in scena quella sera d’agosto di cinquant’anni fa offre spunti di riflessione per l’oggi e qualche interessante legame con l’attualità. I sedici minuti di discorso di Nixon dallo Studio Ovale riportano in primo piano un addio più recente, che sta già finendo negli archivi: gli undici minuti durante i quali Joe Biden, seduto alla stessa scrivania di Nixon, lo scorso 24 luglio ha spiegato al paese la rinuncia a correre per un secondo mandato.
 

Le circostanze in cui sono avvenuti i due discorsi sono ovviamente assai diverse. Nixon annunciava che il giorno dopo si sarebbe dimesso per evitare il sicuro impeachment da parte del Congresso, per tutta la serie di reati, abusi e bugie che da due anni caratterizzava lo scandalo Watergate. Biden spiegava invece all’America perché aveva deciso di fare un passo indietro e non ricandidarsi, per senso di responsabilità: “Niente può frapporsi alla necessità di salvare la nostra democrazia, incluse le ambizioni personali”, ha spiegato il presidente nel passare il testimone a Kamala Harris.
 

Se i due passi indietro distanti 50 anni hanno motivazioni molto diverse, è interessante evidenziare come entrambi siano stati sostanzialmente provocati dai media. Ma in due ecosistemi mediatici che in mezzo secolo sono cambiati profondamente. Volendo sintetizzare al massimo, si può dire che Nixon si è dimesso sulla scia delle inchieste di un giornale, il Washington Post, mentre Biden si è arreso per un fuoco incrociato con tre protagonisti: il New York Times, alcuni podcast di successo e soprattutto una raffica di newsletter.
 

La vera novità sul piano comunicativo delle elezioni americane 2024 infatti è il potere di uno strumento abbastanza tradizionale, quello delle newsletter che arrivano via mail. Ogni mattina negli Stati Uniti si scatena una guerra all’alba per decidere chi avrà il controllo della “narrazione” della giornata ed è uno scontro che in gran parte avviene attraverso le più influenti newsletter di New York e Washington.
 

Ad aprire le ostilità è sempre Punchbowl News, verso le 5 del mattino americano: una testata nata di recente, dedicata a seguire le attività del Congresso e ora molto seguita. A ruota arrivano Politico con il potentissimo Playbook, Semafor con la sua ampia capacità di sintesi, Axios AM con le analisi e gli scoop di Mike Allen e l’Early Brief del Washington Post. Nelle ore successive si inseriscono nel dibattito il New York Times con i propri podcast mattutini e le newsletter di politica; la giovanissima testata Notus che si sta facendo spazio a Washington; le analisi del sondaggista Nate Silver, anche lui adesso titolare di una popolare newsletter; infine il podcast obamiano Pod Save America. A completare il quadro arrivano poi le firme di The Atlantic e National Review, per dare un punto di vista da sinistra e da destra. E infine ci sono le newsletter dei candidati presidenti a fare la loro parte.
 

Questo insieme di notizie e commenti via mail è ciò che detta la linea della giornata politica americana ed è il mix che ha creato la pressione insostenibile per Biden, spingendolo alla rinuncia a correre. È qui, in questa battaglia all’alba, che è maturata l’ondata di reazioni che ha reso impossibile per il team della Casa Bianca continuare a sostenere che il presidente ottantunenne era in grado di battere Donald Trump.
 

Nixon fu costretto a dimettersi per le inchieste tenaci di Bob Woodward e Carl Bernstein e per l’indipendenza di giudizio del Washington Post. Biden si è arreso a un’armata di newsletter. Le rotative contano meno, ma la vecchia battuta cinematografica alla Humphrey Bogart, “è la stampa bellezza e tu non puoi farci niente”, vale anche nell’èra digitale.

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