Editoriali

È il momento di alzare i toni in difesa di Kyiv

Redazione

Un’apertura sugli aiuti americani. Sappiamo che la realtà è alla rovescia, che questo è il momento di dare all’Ucraina tutto quel che ha bisogno per difendersi e difenderci dalla Russia: non ricadiamo nella cautela che vuole Putin

Lo speaker del Congresso Mike Johnson, un trumpiano che dopo cinque mesi di mandato deve contrastare una mozione di sfiducia e una maggioranza che a breve sarà di un unico seggio, ha annunciato che il pacchetto di aiuti militari per l’Ucraina tornerà in discussione in aula la settimana prossima. Da quando è andato al potere, Johnson ha bloccato questi aiuti cercando di governare le divisioni interne al Partito repubblicano e di assecondare il volere di Donald Trump, candidato a novembre del partito, che non vuole più dare nemmeno “un penny”. Non ce l’ha fatta, Johnson, come non ce l’aveva fatta il suo predecessore, Kevin McCarthy, caduto per le stesse ragioni per cui oggi lo speaker traballa. Il suo staff teme che scegliere la strada impervia degli aiuti all’Ucraina sia  pericoloso, ma fino a questo momento la maggioranza del Congresso è stata dalla parte di Kyiv e nel frattempo i repubblicani che non vogliono capitolare davanti alla Russia hanno elaborato nuovi strumenti finanziari che potrebbero superare le resistenze del partito – contro l’ideologia antiucraina trumpiana non si può fare molto, ma ci sono altri pertugi per dare all’Ucraina i fondi necessari. Johnson non ha definito nel dettaglio questi strumenti, ma si parla di un prestito – che non copre tutti i 60 miliardi di dollari chiesti dall’Amministrazione Biden, ma una buona parte sì – e di utilizzare i beni congelati della Russia. C’è ancora molto da definire e da discutere, e nel tempo abbiamo imparato a diffidare dell’opportunismo di Johnson e dei trumpiani: tengono più alla loro sopravvivenza politica che a quella dei soldati ucraini.
 

Ma lo sblocco annunciato dallo speaker, ancorché mosso dalla disperazione, è una buona notizia in un momento in cui il dibattito sul sostegno all’Ucraina ha fatto un balzo indietro. Vladimir Putin è molto minaccioso e, come era già accaduto in passato, sono tornati le cautele, gli “abbassiamo i toni”, la paura che l’assetto da difesa della Nato e dei paesi europei siano percepiti dalla Russia come una provocazione. Come l’anno scorso quando si discuteva dell’invio dei carri armati, ora l’arrivo degli F-16 – a singhiozzo, dopo otto mesi dall’annuncio della coalizione per gli aerei e dopo due anni e più che l’Ucraina chiede di proteggere i propri cieli da dove arrivano le bombe indefesse della Russia – fa di nuovo parlare di “un’escalation” che potrebbe far indispettire Putin. Siamo di nuovo qui: il presidente russo intensifica la sua offensiva brutale contro le città ucraine, intensifica la disinformazione in Europa e in America, dove si tengono le elezioni e quindi i leader politici sono particolarmente sensibili agli umori degli elettori, intensifica la destabilizzazione in occidente con operazioni mirate – come dimostra l’inchiesta sui servizi segreti russi pubblicata da The Insider –, strumentalizza l’attacco jihadista a Mosca per attaccare gli occidentali, e l’escalation sarebbe quella dell’Europa e dell’America? Il blocco degli aiuti americani determinato dai trumpiani ha peggiorato di molto la situazione sul campo dell’Ucraina, oltre che il morale degli ucraini, che è dall’inizio dell’aggressione russa il motore più potente della resistenza occidentale. L’Europa fatica a trovare l’unità, non ha i mezzi per compensare il rallentamento americano e viene colpita a ondate dalla retorica di partiti e commentatori (alcuni, secondo l’inchiesta della Repubblica ceca, della Polonia e del Belgio a libro paga della Russia) che ripetono che la leadership di Kyiv non accetta la sconfitta inevitabile, che l’invio di armi non fa che aizzare Putin. Sappiamo che la realtà è alla rovescia, che questo è il momento di dare all’Ucraina tutto quel che ha bisogno per difendersi e difenderci dalla Russia e che l’escalation è sempre stata quella di Putin. Altro che cautela: alziamo i toni della difesa contro un regime terrorista.

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