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Perché il Messico si è colorato di rosa per protestare contro il presidente López Obrador

Maurizio Stefanini

Domenica c’erano 700 mila persone nella sola capitale, e altre in un centinaio di città: accusano il presidente di voler togliere spazio all’opposizione, e in più hanno ritirato fuori accuse di presunto finanziamento dei narcos alla sua campagna elettorale del 2006

I promotori, 217 organizzazioni della società civile messicana, la chiamano la “Marcha por Nuestra Democracia”, ma per tutti è solo la “Marea Rosa”, dai colori – bianco e rosa – che era stato chiesto di usare evitando ogni insegna di partito. Domenica c’erano 700 mila persone nella sola capitale, e altre in un centinaio di città. “La nostra democrazia non si tocca” e “Mai più campagne elettorale finanziate dai narcos” sono i due slogan che davano il senso della mobilitazione contro il presidente Andrés Manuel López Obrador, che gli stessi messicani chiamano abitualmente con l’acronimo Amlo, per fare prima. Leader populista di sinistra, vicino ai No vax durante la pandemia, a differenza di altri protagonisti della involuzione autoritaria in corso in America latina non si azzarda a provare a cambiare la Costituzione per potere essere rieletto. Dopo l’interminabile presidenza di Porfirio Díaz dal 1884 al 1911, la rivoluzione messicana fu fatta con l’obiettivo primario di imporre il divieto assoluto di rielezione, e questo resta un dogma inviolabile. Però, dopo avere iniziato a fare politica in quel Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) eternamente al governo tra la Rivoluzione e il 2000 ed essere poi stato un leader del Partito della rivoluzione democratica (Prd) che si era staccato alla sua sinistra, alla fine Amlo ha lasciato anche il Prd per fondare il Movimento di rigenerazione nazionale (Morena), con cui è diventato presidente, e che si teme voglia ora blindare al potere per farlo diventare un nuovo Pri inamovibile, di cui resterebbe il leader di fatto. Anche se il pacchetto di 20 riforme costituzionali da lui presentato non potrà comunque riguardare le prossime elezioni, che si tengono il 2 giugno, e in cui si affrontano due donne.

Il Morena ha selezionato Claudia Sheinbaum Pardo. Classe 1962, professoressa universitaria con lauree in Fisica e Ingegneria, esperta di ambiente,  suo nonno era un ebreo lituano comunista  e suo padre fu un famoso chimico e imprenditore innovatore nell’industria del cuoio. Già dirigente giovanile del Prd, stretta collaboratrice di Amlo da sindaco di Città del Messico e fondatrice del Morena, è stata a sua volta sindaco della capitale dal 2018 al 2023. Nel fronte in cui Pri e Prd si sono messi assieme al centro-destra del Partito di azione nazionale (Pan), le primarie sono state invece vinte da Bertha Xóchitl Gálvez Ruiz, classe 1963, indigena otomí, ingegnere di robotica e imprenditrice, già senatrice del Pan. Va detto che i sondaggi danno la delfina di Amlo in netto vantaggio, col 64 per cento contro il 31.

Se questa ampia maggioranza si riflette al Congresso a quel punto sarebbe facile far passare le 20 riforme costituzionali, tra le quali c’è di tutto, da stipendi degni agli insegnanti al divieto del fracking. Ma i punti che hanno provocati la marcia sono  due. Il 16: una nuova iniziativa di riforma elettorale, che prevede la riduzione delle spese destinate alle campagne e ai partiti politici, e la riduzione del Congresso da 500 a 300 deputati e da 128 a 64 senatori. Inoltre, il presidente ha proposto che sia i consiglieri sia i magistrati delle organizzazioni elettorali siano eletti con il voto diretto dei cittadini e di ridurre il numero dei partecipanti alle consultazioni popolari dal 40 al 30 per cento per renderle valide e vincolanti, proposta che vale anche per la revoca del mandato. Il 17: i giudici, magistrati e ministri del potere giudiziario, invece di essere proposti dall’esecutivo e nominati dai legislatori, sarebbero eletti direttamente dal popolo. Anche l’Istituto nazionale elettorale (Ine), organismo di sorveglianza delle elezioni oggi composto da undici membri eletti dal Congresso, verrebbe sostituito con un  Istituto nazionale delle elezioni e delle Consultazioni (Inec) di sette membri, eletti dal popolo. 

I promotori della marcia accusano Amlo di voler togliere spazio all’opposizione, e in più hanno ritirato fuori accuse di presunto finanziamento dei narcos alla sua campagna elettorale del 2006.  Al Morena rispondono che la marcia sarebbe stata  un trucco per iniziare a fare campagna elettorale con due settimane di anticipo rispetto al consentito.

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