Il primo ministro indiano Narendra Modi viene accolto con petali di fiori in un comizio pubblico a Guwahati (foto LaPresse/Anupam Nath) 

L'anno color zafferano

Modi si avvicina alle elezioni in una nuova stagione di “autocrazia elettorale”

Carlo Buldrini

Il discorso al tempio di Rama ha sancito la trasformazione dell’India in nazione hindu e la fine del multiculturalismo, lasciando l’opposizione stordita 

Questo è il tempio della nostra coscienza nazionale sotto la forma di Rama. Rama è la fede dell’India. Rama è la fondazione dell’India. Rama è l’idea dell’India. Rama è la legge dell’India. Rama è il prestigio dell’India. Rama è la gloria dell’India. Rama è il leader e Rama è la politica dell’India”. Con queste parole infervorate, pronunciate dal basamento del tempio dedicato al dio Rama in costruzione ad Ayodhya, il primo ministro Narendra Modi ha sancito l’avvenuta fusione della religione con lo stato indiano. Una ventina di minuti prima, Modi, sostituendosi ai sacerdoti hindu, ha officiato il rito della consacrazione dell’idolo del dio Rama bambino (il Ram Lalla) nel sancta sanctorum del tempio. “Il 22 gennaio 2024 – ha poi aggiunto Modi – non è una semplice data segnata sul calendario. È l’inizio di una nuova èra”. Con il suo discorso il primo ministro ha annunciato ai settemila fedeli presenti e al miliardo di hindu incollati ai televisori, la nascita dell’Hindu Rashtra, dell’India diventata una nazione hindu. Gli appartenenti alle altre religioni indiane (i sikh, i buddhisti, i jain, gli animisti delle popolazioni tribali) potranno essere tollerati. Non sarà così per chi professa la religione dei popoli invasori: l’islam degli imperatori Moghul e il cristianesimo dei colonialisti inglesi, due religioni non nate sul suolo indiano e quindi estranee all’ethos dell’India. Termina così l’idea di un’India democratica e multiculturale. 

 

 No all’islam degli imperatori Moghul e al cristianesimo dei colonialisti inglesi, due religioni estranee all’ethos dell’India

     

Per condurre in porto questa rivoluzione color zafferano, l’estrema destra hindu non ha avuto bisogno di ricorrere ai metodi adottati da Indira Gandhi dal giugno 1975 al marzo 1977, durante i mesi della sua “Emergenza”. In quei giorni bui, i leader politici di opposizione finirono in carcere, i giornali censurati, le libertà civili abolite, le elezioni sospese. Oggi, invece, l’estrema destra hindu si è impadronita dello stato attraverso il meccanismo elettorale e mantenendo una democrazia di facciata. I politologi definiscono l’India di Modi una “autocrazia elettorale”. I leader di opposizione sono perseguitati (vedi i casi di Rahul Gandhi e di Mahua Moitra squalificati dal Parlamento). Le istituzioni democratiche sono continuamente erose. Tutto il potere è concentrato nelle mani dell’esecutivo centrale. La polizia è sotto il totale controllo del partito di governo, il Bharatiya Janata Party (Bjp). I pochi media indipendenti sono intimoriti con frequenti denunce per diffamazione e ispezioni fiscali. Il Parlamento non è più la sede di un dibattito democratico.

  
Il 13 dicembre scorso due giovani sono saltati nell’emiciclo del nuovo Parlamento dalla galleria dei visitatori. Hanno gridato slogan contro la disoccupazione e con in mano dei candelotti fumogeni hanno riempito l’Aula di un denso fumo giallo. I due giovani e quattro loro complici sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo. I partiti di opposizione hanno chiesto che il ministro dell’Interno si presentasse in aula per spiegare questa grave violazione della sicurezza del Parlamento. Narendra Modi di persona ha ordinato che, sulla questione, “non ci deve essere nessun dibattito”. La protesta dei partiti di opposizione si è fatta allora più rumorosa. 146 parlamentari sono stati sospesi (100 della Lok Sabha, la Camera bassa, e 46 della Rajya Sabha, la Camera alta) fino al termine della sessione invernale delle due Camere. Il presidente del Partito del Congresso, Mallikarjun Kharge, ha inviato una lettera al chairman della Rajya Sabha in cui scrive: “Le sospensioni dei parlamentari sono state decise per mettere a tacere la voce dell’opposizione. Questo è un deliberato disegno del governo per indebolire il Parlamento e fiaccare la democrazia, per sabotare le pratiche parlamentari e svuotare la Costituzione”. Durante l’assenza dei parlamentari di opposizione, il governo ha approvato tre leggi cruciali sul diritto penale e una quarta legge che assegna al governo centrale il potere di eleggere i membri della Commissione elettorale.

  
Nel suo discorso fatto dal tempio di Ayodhya, il primo ministro Narendra Modi ha ringraziato il sistema giudiziario per aver permesso la costruzione del Ram Mandir, il tempio dedicato al dio Rama. Il riferimento di Modi era alla delibera della Corte suprema che, nel novembre del 2019, dopo aver definito la distruzione della Babri Masjid, la moschea di Ayodhya, un egregious crime, un crimine eclatante, ha assegnato con la stessa delibera il terreno su cui sorgeva la moschea a un fondo composto da quattro organizzazioni hindu in modo che vi costruissero sopra il tempio dedicato a Rama. Era come se, dopo aver definito una persona un ladro, gli si assegnasse il possesso della refurtiva. 

   
Con un’altra delibera, la Corte suprema ha approvato l’abrogazione dell’Articolo 370 che garantiva l’autonomia allo stato del Jammu e Kashmir e ha avallato la divisione dello stato in due territori dell’Unione. In un’altra decina di casi, la Corte suprema ha sempre deliberato in favore del governo, dimostrando così di non essere più un organo indipendente. I pilastri che sorreggono la democrazia indiana stanno, a uno a uno, crollando. L’occidente, e gli esperti di geopolitca, sembrano non voler capire che l’appartenenza dell’India al mondo democratico non si misura con la sua vicinanza o meno agli Stati Uniti o con la sua lontananza da Mosca, ma con quanto sia in grado di difendere la propria democrazia.

 
La trasformazione dell’India da “Repubblica sovrana, socialista, laica (secolare) e democratica” come è scritto nel preambolo della sua Costituzione, in un Hindu Rashtra, una nazione hindu, è stata possibile solo grazie alla personalità di Narendra Modi. In un paese che adora gli idoli, Modi è diventato per tanti indiani un idolo vivente. Grazie alla sua abilità oratoria e al suo carisma, le folle lo ascoltano rapite. Il “Modi magic”, la magica connessione di Modi con la gente, dopo 10 anni di governo, sembra essere rimasta immutata. Una schiera di coreografi, pubblicisti, event manager e i tanti media di regime, hanno costruito attorno a Modi un’aura magica, quasi sacrale. In una funzione religiosa che si è tenuta a Varanasi per l’inaugurazione di un padiglione per la meditazione, i sacerdoti presenti hanno salutato il primo ministro col grido di “Raja Saheb ki jai” (Gloria all’illustre Sovrano). 

 
Lo show di Ayodhya lo si era già visto il 28 maggio 2023 (tenere a mente la data) quando Narendra Modi ha inaugurato il nuovo edificio del Parlamento indiano. Modi si era prostrato a terra, a pancia in giù, davanti al “Sengol”, un lungo scettro d’argento placcato in oro, simbolo di un’antica monarchia tamil. Attorno a lui, un folto gruppo di sacerdoti, venuti con un volo speciale dal Tamil Nadu, intonava inni vedici. Poi, il primo ministro, con il Sengol tenuto con entrambe le mani davanti alla fronte e seguito dalla schiera di sacerdoti, ha collocato lo scettro di un’antica monarchia in una teca di vetro sulla parete dietro allo scranno dello speaker di un Parlamento repubblicano. La solennità del momento ha fatto pensare a molti che Modi fosse l’avatar del chakravarti samrat, il sovrano universale dell’India antica. 


Nella cerimonia di consacrazione dell’idolo di Rama ad Ayodhya, seduto alla sinistra di Modi, c’era un uomo completamente vestito di nero. L’“uomo nero” era Mohan Bhagwat, il sarsanghchalak (il leder supremo) del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), l’organizzazione paramilitare hindu di estrema destra. I padri fondatori dello Rss cercarono ispirazione direttamente da Hitler e Mussolini. L’Opera nazionale Balilla e le sue finalità, trapiantate in India, diventarono il modello con cui venne costruito lo Rss. V.D. Savarkar è stato uno dei grandi ideologi dell’organizzazione. Individuò nell’islam e nel cristianesimo – le fedi di chi aveva soggiogato l’India: i Moghul e gli inglesi – le forze disgregatrici della società indiana. Andavano combattute con ogni mezzo. Savarkar finì in prigione accusato di aver fatto parte del complotto che portò all’assassinio di Gandhi. Fu scarcerato per insufficienza di prove. Era nato il 28 maggio 1883. Il giorno del suo 140esimo compleanno, Narendra Modi ha inaugurato il nuovo edificio del Parlamento indiano. Ad Ayodhya, come è stato da molti erroneamente scritto, il 22 gennaio non è stato inaugurato il Ram Mandir, il tempio dedicato a Rama, ma è solo avvenuta la consacrazione della statua del dio quando aveva l’età di 5 anni. E’ facile prevedere che il grande tempio sarà finito e inaugurato il 27 settembre 2025 quando il Rashtriya Swayamsevak Sangh festeggerà il proprio centenario.

  

 All’inizio della “nuova èra” i militanti della destra hindu hanno preso di mira le chiese cattoliche ed evangeliche

  
La prima aggressione nella “nuova èra” in cui è entrata l’India, annunciata da Modi ad Ayodhya, l’hanno subita i cristiani. Il giorno che ha preceduto la consacrazione dell’idolo di Rama, era una domenica (21 gennaio). Negli stati del Madhya Pradesh e del Chhattisgarh, i militanti della destra hindu, al grido di “Jai Shri Ram”, hanno attaccato le piccole chiese cattoliche ed evangeliche, all’ora della messa e del culto comunitario. Sono giunte notizie di attacchi alle chiese e alle comunità cristiane nei piccoli centri di Dabtalai, Matasula, Uberao, Dhamaninathu e Padlawa in Madhya Pradesh e a Basudopur in Chhattisgarh. A Dabtalai 25 giovani hanno circondato la piccola chiesa, sono saliti sul tetto dell’edificio e hanno issato sulla croce una bandiera color zafferano con stampata l’immagine del nuovo tempio di Ayodhya. A Matasula, la chiesa cattolica affiliata alla diocesi del Kerala, è stata attaccata, malgrado al suo esterno avesse appeso un grande poster a colori con l’immagine di Rama e del nuovo tempio di Ayodhya e, di fianco, quella del vescovo cattolico Peter Kharadi. Nel poster, in lingua hindi, si facevano le congratulazioni e gli auguri per la consacrazione del tempio di Ayodhya “da parte di tutta la comunità cattolica del distretto di Jhabua in Madhya Pradesh”.

  

La strada per il partito di Modi sembra essere tutta in discesa, basterà dire: “Se adori il dio Rama, vota Bjp”

   
Adesso, l’“Hindu Rashtra”, l’India hindu, dovrà essere inserita nella Costituzione. Per farlo ci sarà bisogno di un governo eletto con una forte maggioranza. Amit Shah, il potente ministro dell’Interno e braccio destro di Modi, si sente sicuro. Dice che il Bjp vincerà le prossime elezioni con “una maggioranza senza precedenti” tale da lasciare “stordita” l’opposizione. Ha chiesto agli attivisti del suo partito di “entrare in ogni casa del paese con la nostra ideologia e con quello che ha fatto il nostro governo, in modo che Modi  diventi ancora una volta il primo ministro dell’India”. Questo compito se lo assumeranno i militanti dello Rss. Nelle ultime elezioni, con fare aggressivo, sono entrati nelle abitazioni dicendo: “Siamo quelli che difendono gli interessi degli hindu. Se sei un hindu, devi votare per noi”. Quest’anno sarà tutto più semplice. Gli attivisti si limiteranno a dire: “Se adori il dio Rama, vota Bjp”

 
La strada per il partito di Modi sembra essere tutta in discesa. Con la fuoriuscita di Nitish Kumar, il chief minister del Bihar, dall’alleanza dei partiti di opposizione, la coalizione “India” sembra sfaldarsi ancora prima di avere iniziato la propria campagna elettorale. C’è chi, per ambizioni personali, mostra di non voler capire l’importanza storica di queste elezioni. Per l’India potrebbero essere le ultime consultazioni libere. A New Delhi gira voce che si inizierà a votare il 16 aprile.