Contrordine milizie!

Così la brigata alleata dell'Iran che bombarda gli americani dice: adesso non attacchiamo più

Cecilia Sala

L’Iran manda un messaggio per interposta milizia al presidente americano Biden: niente guerra

A sorpresa la milizia amica di Teheran responsabile della maggioranza degli attacchi contro i soldati americani dal 7 ottobre a oggi ha promesso che non colpirà più gli Stati Uniti in medio oriente. La lettera con cui Kataib Hezbollah – la Brigata del partito di Dio – ha comunicato la decisione è stata scritta a denti stretti: “Abbiamo fatto tutto da soli e i nostri fratelli dell’Asse della resistenza, soprattutto in Iran, non sono informati di come portiamo avanti la nostra opera di jihad. E spesso si oppongono alle pressioni che facciamo contro le forze di occupazione americane qui in Iraq e in Siria. Quindi annunciamo la sospensione delle operazioni militari”.

La Brigata del partito di Dio è la più potente e aggressiva nel suo genere a operare nei paesi dove c’è un contingente americano. La sua è una decisione controvoglia, imposta e difficile da giustificare per una milizia che ha passato gli ultimi quattro mesi a sparare contro le basi degli Stati Uniti e a sbeffeggiare su Telegram i gruppi armati della zona che non facevano altrettanto, chiamandoli “codardi”. A spingere Kataib Hezbollah a scrivere un comunicato che non ha precedenti sono stati il primo ministro dell’Iraq e i pasdaran, che temono la risposta di Joe Biden per i tre soldati americani uccisi nel fine settimana. 

Ieri il capo dei Guardiani della rivoluzione, Hossein Salami,  rivolgendosi alla Casa Bianca ha detto: “Ci avete già testati e ci conosciamo gli uni con gli altri, ma vi stiamo dicendo che noi non vogliamo la guerra”. Il discorso del capo  dei pasdaran replicava a quello del presidente degli Stati Uniti, che martedì ha spiegato  di aver deciso come rispondere al bombardamento con i droni che nella notte tra sabato e domenica ha ucciso tre soldati statunitensi e ne ha feriti quaranta alla Torre 22, all’intersezione tra Giordania, Siria e Iraq. Per quell’attacco Kataib Hezbollah è l’indiziata numero uno.

La Brigata del partito di Dio è nata  intorno al 2005 ed è una creatura delle forze speciali dei pasdaran in Iraq. Nel 2009 gli Stati Uniti l’hanno inserita nella lista dei terroristi perché destabilizzava il paese e minacciava i soldati americani all’estero. Oggi  è finanziata dal governo di Baghdad perché è stata parzialmente integrata nelle forze di sicurezza del paese, anche se spesso non rispetta le gerarchie e gli ordini. Il gruppo combatte sia la guerra sul campo sia quella mediatica con i suoi canali social da centinaia di migliaia di iscritti, i giornali online, la propria unità di hacker e la  televisione satellitare Al Etejah – che in questo momento stanno facendo le capriole per rendere digeribile la decisione di sospendere temporaneamente le ostilità a un pubblico di fanatici.   

La Brigata del partito di Dio era entrata in guerra “in difesa dei fratelli di Gaza” il 18 ottobre a seguito di una fake news. Aveva creduto alla disinformazione di Hamas secondo cui l’ospedale battista di Gaza City era stato raso al suolo in un bombardamento che aveva ucciso cinquecento persone.  Poche ore dopo si è scoperto che l’ospedale non era stato distrutto, che non c’erano cinquecento morti e che molto probabilmente era stato un razzo malfunzionante del Jihad islamico e non una bomba israeliana a colpire il parcheggio della struttura; ma ormai Kataib Hezbollah era entrata in guerra.

L’obiettivo di medio periodo di Teheran e della sua milizia  più fidata a Baghdad non è cambiato: è espellere gli Stati Uniti dalla regione a iniziare  dall’Iraq. Ma nel momento in cui nelle basi dei gruppi armati sciiti tra l’Iraq e la Siria c’è un fuggi fuggi generale per il timore della reazione americana, la priorità della Repubblica islamica è contenere le perdite, ed evitarne tra le proprie file.  Il premier iracheno intanto  si barcamena cercando di convincere i gruppi armati che bombardare gli Stati Uniti non è il modo migliore per cacciarli, ma sa anche lui che l’eventuale ritiro non è comunque sul tavolo adesso.
 

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