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Oxfam boccia l'accordo sul grano con le stesse tesi sballate di Putin

Luciano Capone

La Ong che contrasta la fame nel mondo rilancia gli argomenti dello Zar che la diffonde. L'Idea che la Black Sea Grain Initiative sia servita ai "paesi ricchi" si basa su dati malcompresi e sul comune pregiudizio antioccidentale

Tutti, a partire dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, sono preoccupati per le conseguenze per la fame nel mondo della decisione di Putin di far saltare l’accordo sul grano. Tutti tranne la ong che si occupa di fame nel mondo. Per Oxfam l’accordo non serviva poi a un granché: “L’accordo che aveva portato allo sblocco dell’export di grano dall’Ucraina al Mar Nero si è rivelato del tutto inadeguato a fronteggiare l’aumento della fame globale – dice la ong –. I paesi ricchi si sono accaparrati l’80% del grano e dei cereali usciti dall’Ucraina, mentre agli stati più poveri e colpiti dalla crisi alimentare è andato appena il 3%”. Una posizione insensata, che finisce per dare ragione a Vladimir Putin.

 

L’analisi di Oxfam si basa su una manipolazione dei dati, o un’errata interpretazione, che conduce a conclusione sballate. È vero che secondo i dati della Black sea grain initiative, questo il nome degli accordi sul grano tra Ucraina-Turchia-Onu e Russia-Turchia-Onu, il 3% delle derrate esportate è andato ai paesi a basso reddito come Etiopia, Yemen, Afghanistan, Sudan e Somalia, ma un altro 17% è andato a paesi a medio-basso reddito come Egitto, Bangladesh, India, Indonesia, Algeria, Pakistan. Bisogna poi considerare che un altro 37% è finito a paesi a medio-alto reddito come Cina, Turchia, Libia e Iraq. Mentre il restante 44% ha ragginuto paesi ad alto reddito, prevalentemente dell’Unione europea.

 

Più in generale, sempre secondo i dati dell’Onu, sui 33 milioni di tonnellate esportate attraverso l’accordo, il 43% (14 milioni) è andato ai paesi sviluppati e il 57% ai paesi in via di sviluppo. Così il quadro appare nettamente diverso rispetto alla brutale descrizione “80% ai ricchi e 3% ai poveri” fatta da Oxfam. Per giunta, il World Food Programme dell’Onu – il più importante piano di aiuto umanitario al mondo, che dà assistenza alimentare a 160 milioni di persone e 20 milioni di bambini in 120 paesi – a luglio 2023 ha ricevuto l’80% delle sue forniture di grano dall’Ucraina, in netto aumento rispetto al 50% del 2021 e del 2022. Come si fa a definire questi numeri “Il grande inganno sul grano ucraino”?

 

Ma dati a parte, la tesi di Oxfam non ha senso dal punto di vista economico. Perché non conta la destinazione materiale delle forniture, bensì l’impatto che l’accordo ha avuto sull’offerta e quindi sui prezzi globali. Non importa se ai paesi poveri arrivino chicchi di grano ucraino, importa che questi paesipossano comprare il grano, da ovunque provenga, per sfamare la popolazione. Secondo i dati della Fao, dopo l’accordo sul grano ucraino i prezzi internazionali degli alimentari sono crollati del 23% dal picco di marzo 2022. Abbiamo già visto cos’è accaduto quando la Russia ha fatto sparire il gas dal mercato globale: i prezzi si sono impennati, l’occidente ha comprato il Gnl dall’Asia pagando l’extracosto e in paesi come il Pakistan e il Bangladesh sono scoppiate rivolte per i blackout energetici perché senza gas. L’accordo sul grano è fondamentale per evitare che lo stesso meccanismo scatti sui mercati alimentari, provocando carestie anziché blackout.

 

La tesi di Oxfam che sminuisce l’accordo perché “ha certamente contribuito a contenere l’impennata dei prezzi alimentari ma non ha rappresentato la soluzione alla fame globale” è illogica. Perché la Black sea grain initiative non serve a eliminare la fame nel mondo che già c’era, ma a impedire che si aggravi ulteriormente. Inoltre, sul piano politico, la posizione irragionevole della ong è esattamente identica a quella di Putin che ha giustificato l’uscita dall’accordo dicendo, proprio come Oxfam, che l’export attraverso il Mar Nero serve solo ai paesi ricchi. Accade che un’organizzazione umanitaria e un dittatore sanguinario facciano la stessa analisi quando hanno in comune un’ossessione anti occidentale.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali