La prima mossa di Liz Truss è un tetto alle bollette. Il nuovo governo inglese

Paola Peduzzi

Indispensabile per la neopremier inglese l'amica Thérèse Coffey per fare squadra, il pragmatico Kwasi Kwarteng per le lotte. Downing Street dei sodali (e del karaoke)

Liz Truss ha ricevuto l’incarico di primo ministro del Regno Unito dalla Regina Elisabetta, ha tenuto il suo primo discorso ufficiale a Downing Street, ha delineato i contorni del suo nuovo governo e ha scelto come primo atto di creare un tetto al costo delle bollette degli inglesi, un investimento che si stima attorno ai 100 miliardi di sterline (116 miliardi di euro circa, il valore della sterlina è instabile e in gran ribasso) e che è un aiuto diretto ai cittadini senza imporre nuove tasse – questa è la linea rossa della Trussonomics: nessuna nuova tassa, al contrario di quel che dice la stragrande maggioranza degli economisti britannici. E al contrario di quel che dice il Labour, che rivendica la paternità del tetto ma non il modo di finanziarlo (a proposito: nelle ultime rilevazioni, la sinistra inglese è oltre il 40 per cento, mentre i Tory non arrivano al 30). 

 

Truss, quarantasette anni, una mimica facciale che fa impazzire i fotografi e una scarsa abilità retorica, ha detto che vuole andare di fretta e adottare misure chirurgiche e incisive fin da subito. Il primo annuncio è atteso per giovedì: dovrebbe fissare a 2.500 sterline (2.900 euro) il costo massimo che una famiglia inglese deve pagare per l’energia per i prossimi due inverni. Nel suo discorso davanti a Downing Street, la Truss ha scandito le sue tre priorità: “Britain working again”, il suo slogan; risolvere la crisi energetica e fare la riforma del servizio sanitario. In conclusione del suo breve intervento, la neopremier ha celebrato il popolo inglese e il suo talento, in grado di far superare ogni scoglio – lei è pronta, come ripete sempre, a “deliver”. 

 

C’è poi il suo nuovo governo, che è formato da alleati fedeli pure se con poca esperienza. Truss aveva detto di voler creare “un esecutivo di tutti i talenti” e sembrava così decisa a calmare la lotta interno ai Tory offrendo posti di lavoro anche a chi – e non sono pochi – non la amano né la stimano troppo. L’ispirazione lincolniana del “team of rivals” si è già assopita: Truss sceglie gli amici. Una su tutte: la cara amica Thérèse Coffey, così diversa e così indispensabile per la neopremier. Le due si conoscono dalla fine degli anni Novanta, si sono incontrate ai volantinaggi dei Tory quando ancora non avevano scelto di mettersi in politica in proprio. Poi si sono candidate in due circoscrizioni confinanti, hanno fatto molti incontri in coppia – amano la campagna inglese, c’è una bella foto che le ritrae insieme con un maialino per ciascuna in braccio – e hanno rafforzato il loro sodalizio, fatto di studio, determinazione e karaoke. 

 

La Coffey è laureata in Chimica, ha un approccio scientifico alla politica ed è una che ama fare squadra: i karaoke che organizzava da sottosegretario al Lavoro e alle Pensioni erano il suo modo di fare gruppo, dicono che fossero divertenti e partecipati, e che la Coffey si presentasse sempre con il sigaro in bocca. Sembra il completamento perfetto della Truss, che è una solitaria e che con il suo fare schietto e individualista non è riuscita a costruire un gruppo ampio di collaboratori: per questo, oltre ad aver assegnato alla Coffey il dicastero della Sanità, la Truss l’ha voluta anche come vicepremier. Downing Street è in realtà un luogo in cui i sodalizi anche più antichi si spezzano e si trasformano in lotte feroci, ma oggi la Truss non fa un passo senza la sua “fixer”, e ai presagi sulle amicizie finite non pensa proprio.

 

Un altro fedelissimo della premier è il prossimo cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng, oggi sottosegretario al Business e all’Energia, alleato della Truss dal 2010, quando entrambi erano entrati per la prima volta in Parlamento. Quarantasette anni, Kwarteng è figlio (unico) di un economista e di un’avvocatessa ghanesi che immigrarono nel Regno negli anni Sessanta. Studi a Eton, Cambridge e Harvard, ha un PhD in Storia dell’economia e si definisce un “thatcheriano pragmatico” convinto che non si possa finanziare la crescita di un paese a suon di tasse. Kwarteng è stato il poster boy  della campagna per la leadership della Truss: è lui che ha detto che i tempi di questa selezione erano troppo lunghi visto che l’esito era noto fin dall’inizio di agosto (la Truss l’ha definito “il colloquio di lavoro più lungo di sempre”; in ogni caso i trussiani si aspettavano di battere il rivale Rishi Sunak con un consenso maggiore); è lui che ha difeso la linea “no tasse” dando argomenti alla Truss quando tutto l’establishment economico e finanziario britannico diceva che è una strategia impossibile da mettere in pratica; è sempre lui che ha scritto pochi giorni fa un articolo sul Financial Times ribadendo i fondamentali della formula economica conservatrice classica, che non mette le mani nelle tasche dei cittadini; è lui che conquista un primato, quello di primo nero ad andare a vivere all’11 di Downing Street, anche se in realtà gli ultimi quattro inquilini prima di lui avevano già ampiamente battuto la strada dei non bianchi (l’attuale cancelliere Nadhim Zahawi di origini curde, il già citato Sunak di origini indiane, Sajid Javid  di origini pachistane).

 

Kwarteng ha scritto due saggi storici, uno sull’Impero britannico (molto critico, ma anche la Truss era contro la monarchia: ieri a Balmoral, nella sala in cui Elisabetta ha accolto la Truss, c’era la scritta “Nemo me impune lacessit”, che è un motto scozzese, ma che per alcuni era un trollaggio della Regina alla ex antimonarchica) e uno sulla Thatcher (racconta come si è creata “l’icona del conservatorismo moderno”) e ha partecipato al libro a più mani assieme alla stessa Truss e all’ex ministro dell’Interno Priti Patel dal titolo “Britain Unchained”. Questo volume è stato pubblicato nel 2012, quando la Brexit era soltanto una fantasia degli indipendentisti, ma è poi diventato un manifesto un po’ grezzo dei brexiteer liberali, di cui l’ex premier Boris Johnson era il fondatore, e che sostengono che più il mondo ragiona per aree di libero scambio più il potere e la forza britannici ne guadagnano.  

 

Al ministero degli Esteri è previsto un altro alleato, James Cleverly (padre britannico, madre della Sierra Leone), che aveva il sogno della carriera militare ma che lavora in questo dicastero già da qualche anno, mentre all’Interno è in arrivo Suella Braverman, che aveva corso anche per la leadership e che è stata molto citata in Europa perché ha detto che l’unico modo per risolvere il problema dell’immigrazione è di uscire dalla Convenzione europea sui diritti umani. A proposito di Europa: si dice che l’incarico più difficile da ricoprire sia stato quello di ministro per l’Irlanda del nord. Non lo voleva nessuno, e questo non è un segnale rassicurante per il futuro del Protocollo nordirlandese, cui è appeso l’intero accordo Brexit.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi