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Editoriali

A Berlino è sempre Ostpolitik

Redazione

Riecco i dubbi dei tedeschi sul blocco del gas russo e sulle armi agli ucraini

Sulla reazione europea alla guerra in Ucraina pesa sempre di più lo smarrimento della Germania. E non è solo questione del non gradimento di Kyiv alla visita del presidente Frank-Walter Steinmeier, accusato (come Angela Merkel) di legami passati con il Cremlino. Lo Spiegel, il più autorevole settimanale tedesco, scrive che si è inceppata l’“inversione a U” nelle spese militari, 100 miliardi per superare il 2 per cento del pil annunciati dal cancelliere Olaf Scholz subito dopo l’aggressione di Vladimir Putin. “Sembrava che la Germania avesse finalmente deciso di accettare un ruolo da protagonista nella politica della sicurezza europea. Sei settimane dopo quell’entusiasmo è del tutto evaporato”. Scholz si è opposto nel Consiglio europeo alla riduzione delle forniture di petrolio e gas dalla Russia. Poi ha di fatto sospeso l’invio di un centinaio di carri armati all’Ucraina ordinato dalla ministra degli Esteri Annalena Baerbock. I funzionari tedeschi a Bruxelles frenano sulla concessione all’Ucraina dello status di candidato a entrare nell’Unione europea, pur solennizzata dalla consegna da parte di Ursula von der Leyen a Volodymyr Zelensky del modulo di adesione.

  

L’Ostpolitik inaugurata da Willy Brandt sottintendeva lo scambio tra gas, petrolio e carbone e perenne appeasement del Cremlino con l’occidente. La seconda missione è evidentemente fallita. Ma la grande industria tedesca preme sulla cancelleria per rinviare le sanzioni e altre azioni anti Putin, mentre un sondaggio della Frankfurter Allgemeine Zeitung rivela che il 68 per cento degli interpellati teme l’impatto sulle bollette. Titolo: “I tedeschi non vogliono rimanere al freddo per la libertà”. Alla stessa domanda di Repubblica il 67 per cento degli italiani dice che ridurrebbe il condizionatore o il riscaldamento. Per ora, certo. Eppure mentre l’Italia si muove per cercare fornitori alternativi, poco o zero attivismo c’è in Germania. Dove la coalizione nata all’insegna della rivoluzione smart e digitale fatica ad adattarsi all’idea dei tank novecenteschi nel fango del Donbas.

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