Anne Spiegel (LaPresse)

La sfumatura pragmatica dei Verdi tedeschi

Daniel Mosseri

Con la guerra di Putin i Grünen si reinventano e ripesano ai propri tabù: dal carbone alle armi

Berlino - Le acque dell’alluvione dello scorso luglio non perdonano: dopo aver travolto tre Länder tedeschi affacciati sul Reno provocando 184 morti in Germania, lunedì hanno causato le dimissioni di Anne Spiegel, ministra della Famiglia del governo semaforo di Olaf Scholz. Spiegel ha lasciato ammettendo forti “pressioni politiche” su di lei, rea di essere partita in vacanza a Maiorca una settimana dopo una delle peggiori calamità naturali abbattutesi sulla Germania. All’epoca Spiegel era ministra dell’Ambiente in Renania-Palatinato, la regione con Magonza devastata dall’alluvione.

 

Agli elettori l’ex ministra classe 1980 ha tentato di spiegare che dopo l’ictus subito dal marito nel 2019 e disagi sofferti dai quattro figli a seguito dei lockdown, la famiglia aveva bisogno di una vacanza e lei era comunque sempre raggiungibile. Le sue parole non hanno convinto gli abitanti della valle dell’Ahr, il fiume che ha provocato il maggiore numero di vittime in Germania.

 

I Verdi si accingono così a indicare un nuovo nome a Scholz (che non esclude di dare vita a un mini rimpasto). Secondo l’ex presidente dei Verdi e oggi vicecancelliere Robert Habeck anche il prossimo responsabile della Famiglia sarà una donna, con tutta probabilità un’esponente dell’ala sinistra dei Grünen (i “Fundi”) a bilanciare quella pragmatici (i “Realos”), già al governo con Habeck, Annalena Baerbock agli Esteri e Cem Özdemir all’Agricoltura.

   
Strano destino quello dei Grünen: alle scorse elezioni avevano candidato Baerbock rivendicando non senza una punta di populismo la sua inesperienza quale garanzia di cambiamento della politica. Nei primi quattro mesi del governo Scholz è stata invece la politica a cambiare i Verdi. L’invasione russa dell’Ucraina ha sbriciolato la linea antimilitarista degli ecologisti, convincendoli, Habeck in testa, che l’invio di armi all’Ucraina fosse non solo auspicabile ma necessario. E così è stato. L’urgenza di rendere la Germania meno dipendente dal gas russo (quasi il 46 per cento del fabbisogno arriva da Mosca) ha poi mandato in frantumi l’agenda verde della conversione energetica verso le rinnovabili. E’ stato anzi il peso massimo Anton Hofreiter (ex copresidente verde, ex capogruppo al Bundestag e oggi numero uno della commissione Affari Ue) ad auspicare più lavoro per le centrali a carbone tedesche pur di staccarsi in fretta dal gas di Putin.

 

E questo proprio mentre il think tank britannico Ember stilava la lista dei dieci impianti a carbone più inquinanti d’Europa: sette sono tedeschi. Il caso Spiegel, preceduto dalle dimissioni della ministra dell’Ambiente del Nord Reno-Vestfalia Ursula Heinen-Esser (della Cdu), avvistata anche lei a Maiorca mentre a Colonia si scavava nel fango, conferma che i Verdi tedeschi sono simili agli altri partiti. Destreggiandosi fra armi e carbone (ma il nein all’atomo resta), i Grünen si sono rivelati dotati anche di pragmatismo.
 

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