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(1931-2021)

Lode a Desmond Tutu e al suo modello di una vera giustizia

Giuliano Ferrara

Delicato, e ferrigno, ha dato al mondo una lezione che è l’opposto della cancel culture e del #MeToo: non sono le vittime a fare giustizia, bene e male si ricostruiscono sempre nella cross examination

Norimberga fu una via politica alla giustizia, la commissione per la verità e la riconciliazione di Desmond Tutu (1931-2021) e Nelson Mandela fu un’altra via politica alla giustizia. Ma esistono vie non politiche alla giustizia? E’ possibile giudicare senza essere nell’azione storica, emettere sentenze che non abbiano un contenuto di pensiero e un orientamento di cultura e civiltà relativizzabili, interpretazioni che è difficile dichiarare oggettive?

L’Arcivescovo anglicano di Città del Capo, morto novantenne nel giorno di Natale, era un tipo tostissimo, famoso per le sue lacrime ma di ferrea costituzione morale e di grande umanità politica. Norimberga spense, liquidandone le gerarchie mediante impiccagione, una fiammata di delirio razziale e imperiale, il regime del nazionalsocialismo. Churchill, che aveva il talento della verità ma era di mestiere un leader cinico, disse qualcosa di definitivo quando i capi nazisti e i loro funzionari di alto grado furono impiccati: “Stiamo attenti a non perdere la prossima guerra”. 

L’Arcivescovo non era un cinico, non poteva esserlo per mestiere. E l’apartheid era un’altra cosa rispetto al Terzo Reich, sebbene i metodi per attuarlo fossero anch’essi demoniaci, intrisi di violenza e discriminazione, una sospensione del diritto umano generale incarnata in una lunga serie di luttuose violazioni dell’integrità di un popolo.

La genialità di Tutu, che non sarebbe stata possibile senza il conforto e la collaborazione di Mandela (la Commissione si riunì nel 1995 e durò fino al 2003), fu precisamente in questo: il riconoscimento del carattere peculiare dell’apartheid, un regime di offesa sistematica a una maggioranza oppressa e di difesa, al tempo stesso, di una minoranza coloniale che rivendicava titoli inesistenti al suo predominio eternizzato della violenza. Per capire questo c’era forse bisogno di un re scespiriano, come Mandela dopo decenni di carcere, e di un cuore cristiano, capace di non essere un cuore di pietra. L’idea fu grande e terribile, diede un carattere del tutto nuovo alla seconda metà del Novecento: introdurre il criterio della riconciliazione, e delle pratiche di amnistia ove possibile, all’interno della ricerca della verità, portare oppressi e oppressori, con le loro testimonianze a uno stesso bancone processuale, introdurre come protocollo giuridico l’istituto religioso e etico del perdono.

Nel modello di Tutu le vittime avevano diritto alla verità, ma non alla vendetta. Alla fine si ridusse a qualche migliaio il numero degli amnistiati, ma si affermò tra le polemiche e le disperate incomprensioni (celebre quella della famiglia di Steve Biko) un principio che oggi tutte le campagne di guerra ideologica rinnegano, e cioè che non sono le vittime a fare giustizia, non si deve credere alla versione delle vittime per partito preso o per solidarietà, bene e male si ricostruiscono sempre nella cross examination, almeno nel segno del realismo e della pace perseguita, con le modalità del confronto e del contraddittorio, per quanto possa risultare odioso inseguire la riconciliazione dei martoriati con i carnefici. Il resto è obnubilamento, non giustizia, nemmeno una relativistica giustizia politica.

Quell’uomo delicato, sentimentale in apparenza, e ferrigno, ha dato al mondo una lezione che è l’opposto esatto della cancel culture e del #MeToo e della caccia ossessionale alla pedocriminalità nel clero cattolico. Non era nelle sue intenzioni, non era nelle premesse, ma la Commissione per la verità e la riconciliazione resterà come un lascito, per quanto molti l’abbiano giudicata un teatro dell’assurdo, di intelligenza e comprensione, due ingredienti oggi largamente perduti, decisivi di ogni forma di giustizia.   

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.