Airman 1st Class Kylie Barrow, U.S. Air Force via AP 

il foglio del weekend

Rotte di agosto 

Maurizio Stefanini

Il “Nixon shock”, l’indipendenza dell’India, Roncisvalle, Macbeth: non solo Kabul, il 15 del mese ricorre da sempre in rese, sconfitte e ritirate

Quindici agosto 2021. Pure col Covid e le polemiche sul green pass, avrebbe dovuto essere una data di relax. Giornali che non lavorano, e l’umanità a oziare tra spiagge, montagne e scampagnate. Invece, per l’occidente è diventato il giorno di uno psicodramma collettivo. Le immagini degli afghani che dopo l’entrata dei talebani a Kabul si appendevano per le mani agli aerei in fuga; l’angoscia per il messaggio della ragazza afghana in lacrime, “moriremo lentamente nella storia”, da parte di tutta un’area di buonisti prima arrabbiati per con gli Usa per essere andati in Afghanistan e ora arrabbiati con gli Usa per averlo lasciato; i paralleli con la fuga degli americani da Saigon, ma stavolta con la scena delle ambasciate sgomberate e delle bandiere arrotolate che coinvolge anche gli alleati, compresi noi italiani. Nessuno sembra averlo notato, ma forse il vero parallelo più che con Saigon potrebbe essere fatto con un altro Ferragosto, esattamente di mezzo secolo fa. 

Giusto la sera del 15 agosto del 1971, infatti, Richard Nixon si rivolse via tv agli americani, per spiegare che siccome aveva ormai fatto “progressi” sulla fine della guerra del Vietnam era arrivato il momento “di rivolgere la nostra attenzione alle sfide della pace. L’America oggi ha la migliore opportunità in questo secolo per realizzare due dei suoi più grandi ideali: realizzare una piena generazione di pace e creare una nuova prosperità senza guerra”. Ma la “prosperità senza guerra”, spiegò, “richiede un’azione su tre fronti: dobbiamo creare più e migliori posti di lavoro; dobbiamo fermare l’aumento del costo della vita; dobbiamo proteggere il dollaro dagli attacchi degli speculatori monetari internazionali”. Avvertì subito che l’azione sarebbe stata “non timida, non a metà e non in modo frammentario”. Ma nello spiegare “la nuova politica economica degli Stati Uniti” iniziò a parlare per un bel po’ di disoccupazione, un Job Development Act per creare nuovi posti di lavoro attraverso incentivi a nuovi macchinari, tagli fiscali da compensare con tagli alla spesa pubblica e riforma del welfare, lotta all’inflazione attraverso il congelamento di prezzi e stipendi per 90 giorni, prima di arrivare al colpo del k.o. 

“Dobbiamo proteggere la posizione del dollaro americano come pilastro della stabilità monetaria intorno al mondo. Negli ultimi sette anni si è verificata in media una crisi monetaria internazionale all’anno. Ora, chi guadagna da queste crisi? Non il lavoratore; non l’investitore; non i veri produttori di ricchezza. A guadagnarci sono gli speculatori monetari internazionali. Poiché prosperano nelle crisi, fanno in modo di crearle. Nelle ultime settimane, gli speculatori hanno intrapreso una guerra totale contro il dollaro americano. La forza della valuta di una nazione si basa sulla forza dell’economia di quella nazione – e l’economia americana è di gran lunga la più forte al mondo. Di conseguenza, ho ordinato al Segretario del Tesoro di intraprendere l’azione necessaria per difendere il dollaro contro gli speculatori. Ho ordinato al Segretario Connally di sospendere temporaneamente la convertibilità del dollaro americano, eccetto in importi e condizioni determinati nell’interesse della stabilità monetaria e nel migliore interesse degli Stati Uniti”. Cioè, il suo governo usciva in modo unilaterale e senza preavviso da quegli accordi di Bretton Woods con cui nel luglio del 1944 su era impegnato a cambiare in oro il dollaro Usa, rispetto al quale tutte le altre valute del mondo stabilivano un sistema di cambi fissi.  

“Un’azione molto tecnica” la definì Nixon. Ma spiegò: “Alla fine della seconda guerra mondiale le economie delle principali nazioni industriali dell’Europa e dell’Asia  erano a pezzi. Per aiutarle a rimettersi in piedi e per proteggere la loro libertà, gli Stati Uniti hanno fornito loro negli ultimi 25 anni 143 miliardi di dollari in aiuti esteri. Era la cosa giusta da fare, ma oggi, in gran parte con il nostro aiuto, hanno riacquistato la loro vitalità. Sono diventati i nostri forti concorrenti, e accogliamo con favore il loro successo. Ma ora che altre nazioni sono economicamente forti, è giunto il momento per loro di sostenere la loro giusta parte dell’onere di difendere la libertà in tutto il mondo. E’ giunto il momento che i tassi di cambio siano fissati e che le principali nazioni competano alla pari. Non c’è più bisogno che gli Stati Uniti debbano competere con una mano legata dietro alla schiena”. 

Un  “non c’è più trippa per gatti” che in effetti come spirito è abbastanza simile alle spiegazioni di Biden sul ritiro: che gli Stati Uniti devono pensare prima di tutto a se stessi; che lui non voleva passare quel fardello a un quinto presidente; che  gli americani avevano dato all’esercito afghano addestramento e armi e che se gli afghani non vogliono morire per fermare i talebani non è che gli americani possono continuare a morire al loro posto. La scelta di Nixon nel 1971, motivata dai costi per la guerra del Vietnam e forse anche dal risentimento perché quella guerra non era stata sostenuta, pose fine al regime dei  cambi fissi tra le monete e alla stabilità monetaria. L’intenzione dichiarata era quella di porre fine alla speculazione, ma la verità è che i cambi flessibili, col rendere più rischiosi gli investimenti a lungo termine nell’economia reale, hanno favorito lo sviluppo della finanza. Non essendo più la quantità di dollari legata alle riserve auree americane, è diventato possibile stamparne ad libitum. 

Capito il nuovo sistema i paesi dell’Opec aumentarono i prezzi, e ci fu lo shock petrolifero del 1973. Per gli Usa fu un aumento nominale, risolto stampando più dollari. Per il resto del mondo un aumento reale, che costrinse a politiche di risparmio energetico, riduzione dei consumi e crisi economica. Iniziò un costante e massiccio trasferimento di reddito dagli altri paesi avanzati verso gli Usa e verso i paesi produttori di petrolio, che ha consentito agli Usa stessi di diventare, da esportatori, importatori di capitali. E anche di far crescere il proprio deficit senza controlli. Poiché l’economia reale non offriva sufficienti opportunità di remunerazione per tutti quei dollari, iniziò la stagione del credito facile, fino a innescarvi quella crisi del 2008 che in pratica non si è ancora conclusa. L’Europa nel lungo periodo fu costretta a sua volta ad adottare una moneta comune, che però a differenza del dollaro non consente di stampare a piacimento, ma l’esatto contrario. Avrà anche la fuga da Kabul effetti di lungo periodo altrettanto dirompenti? Non possiamo in realtà ancora saperlo, ma dal Ferragosto 1971 al 2021 la sensazione degli Alleati di essere stati abbandonati dagli Usa alla fine è molto simile, anche se in contesti diversi.

Gli Stati Uniti comunque non sono l’unica potenza anglosassone che a Ferragosto tende a squagliarsela. Ogni 15 agosto, ad esempio, l’India celebra un Independence Day che risale al 1947, nei confini che l’ultimo viceré britannico Lord Mountbatten aveva resi noti il 14 agosto. Fu in teoria un processo pilotato, ma di fatto la partizione tra India e Pakistan portò a un esodo migratorio interno di 7 milioni di musulmani e 5 milioni di indù e sikh, con una escalation di violenze tanto poco programmata che portò a un milione di morti.

E che il Ferragosto per gli occidentali in Asia sia una data pericolosa è dimostrato anche da quello del 1900, sebbene in quella occasione a una coalizione abbastanza simile a quella che ora ha abbandonato l’Afghanistan arrise invece la vittoria. Quel giorno, infatti, una forza di spedizione di 18.000 uomini di una alleanza di otto nazioni tra Impero Britannico, Russia, Francia, Giappone, Germania, Stati Uniti, Italia e Impero austro-ungarico riuscì finalmente a prendere Pechino, ponendo termine ai 55 giorni di assedio delle legazioni da parte del movimento dei Boxer con l’appoggio dell’imperatrice vedova Cixi, che fu costretta alla fuga travestita da contadina. Visto che ci sono di mezzo estremisti islamici anche nel 15 agosto 2021 a Kabul e il 15 agosto 1947 in India, va forse ricordato che, mentre Boxer e imperatrice scappavano, alla fine gli ultimi a resistere ferocemente contro le otto nazioni restarono i Kansu Braves. Una unità di cavalleria di 10.000 uomini arruolati tra i musulmani della provincia del Kansu. 

Restando d’altronde su questi dintorni del confronto tra occidente e islam, il 15 agosto del 636 è la battaglia di Yarmouk, con cui l’Impero bizantino perde definitivamente alla cristianità la Siria, a favore degli arabi. Il 15 agosto 927 Taranto è distrutta da un raid di Saraceni che portano via come schiavi tutti gli abitanti sopravvissuti al massacro. Il 15 agosto 1461 con la resa dell’Impero di Trebisonda si consegna agli ottomani l’ultimo stato indipendente di cultura bizantina, otto anni dopo la caduta di Costantinopoli. Stando alla tradizione potremmo aggiungere anche il 15 agosto 778, quando Orlando paladino di Carlo Magno fu ucciso in una imboscata a Roncisvalle: l’evento da cui la leggenda trasfigurata in opere come la Chanson de Roland, l’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo o l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, per non citare che le le più famose. Solo che, sebbene tutte queste opere abbiano venduto l’immagine dell’eroe cristiano ucciso dai musulmani e sebbene la cosa sia avvenuta effettivamente durante la spedizione di Carlo Magno contro gli arabi di Spagna, in realtà gli autori dell’imboscata furono baschi. Cristiani anche loro, ma comunque insofferenti verso gli stranieri percepiti come invasori. Qualcuno ha notato che fu insomma il contrario degli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004, che furono attribuiti in un primo momento ai baschi dell’Eta, per poi scoprire che erano stati invece i musulmani di al-Qaida. 

Da un personaggio storico passato in letteratura a un altro, il 15 agosto 1057 nella  Battaglia di  Lumphanan fu ucciso il re di Scozia Macbeth: 549 anni dopo portato in scena nella tragedia di William Shakespeare che peraltro lo tratta da farabutto, quando in realtà tutte le fonti dell’epoca lo descrivono come un sovrano giusto e saggio. Sì. Morto ammazzato: ma era cosa che all’epoca poteva capitare a tutti. Solo che, quando Shakespeare scrisse, il re era Giacomo I, che si vantava discendente del Malcolm III, le cui forze avevano sconfitto e ucciso Macbeth. Per questo ne fa un personaggio perseguitato dai rimorsi, e che crede di salvarsi in base a profezie di streghe che si riveleranno tarocche. “Macbeth non sarà sconfitto fino a che la foresta di Birnam non muova verso Dunsinane”: e infatti i soldati che gli vengono contro si mimetizzano con rami tagliati, che li fanno sembrare la fatidica foresta in cammino. “Nessun nato di donna può nuocerti”: e infatti viene ucciso da MacDuff, che è venuto al mondo con parto cesareo. Difficile non associare una storia del genere a freddo, neve e brume. E invece no: anch’essa fu a Ferragosto! 

Più di recente. Il 15 agosto del 1961 il regine comunista della Germania est inizia la costruzione del Muro di Berlino. Il 15 agosto del 1977 Herbert Kappler, detenuto per la strage delle Fosse Ardeatine, riesce a scappare dall’ospedale militare del Celio, nascosto nella valigia della moglie (da cui anche uno sketch su una donna con la valigia, “Celio, mio marito!”). E il 15 agosto Hugo Chávez vince un referendum revocatorio che se l’avesse perso il Venezuela non sarebbe arrivato all’attuale disastro. Su questa vicenda l’autore di queste note avrebbe molto da raccontare, visto che passò quella notte in bianco nel Comando dell’opposizione, ad aspettare risultati che furono ritardati come non mai, da cui sospetti di frode. Ma in effetti ha raccontato, nei reportages che fece per il Foglio all’epoca. Proprio essendoci stato, ritiene che la vittoria di Chávez fu genuina, e dovuta a una popolarità effettiva. Il fatto però che questa adesione popolare andasse a un personaggio di cui era abbastanza chiaro dove sarebbe finito rende anche quel Ferragosto meritevole di finire in questa lista.
Se sia stata o no una disgrazia la nascita di Napoleone, il 15 agosto del 1769, lasciamo invece deciderlo al lettore. “Ai posteri l’ardua sentenza”, aveva già scritto Alessandro Manzoni nel suo “5 maggio”. 200 anni dopo, la domanda è ancora in sospeso. 

E ovviamente, poi, che non tutti i 15 agosto finiscono male ce lo ricorda anche Varsavia 15 agosto del 1920, quando i polacchi fermarono l’Armata Rossa. E’ vero che la Polonia sarebbe stata comunque comunistizzata 25 anni dopo, ma secondo la storiografia più autorevole quell’intervallo era comunque bastato a costruire quel po’ di società civile che avrebbe reso la vita al sistema difficilissima, fino a portarlo a quel collasso finale che si sarebbe esteso a tutta l’Europa dell’est. Anche allora i polacchi, da un certo punto in poi, non avevano fatto altri che scappare, esattamente come l’esercito afghano a un certo punto ha iniziato a squagliarsi. Sarebbe stato possibile che, come a Varsavia, anche a Kabul si organizzasse una estrema resistenza capace di cambiare la sorte del conflitto? Il fatto è che i polacchi la loro vittoria del Ferragosto 1920 la hanno chiamata “Miracolo della Vistola”. E i miracoli, soprattutto a Ferragosto, non è poi tanto facile che si ripetano.

Di più su questi argomenti: