(foto EPA)

Padre Hamel, che ha indicato il “nemico nascosto dietro al nemico visibile”

Mauro Zanon

Il ricordo del parroco ucciso cinque anni fa dall’islamismo in Francia. E rimasto devoto alla sua fede fino all'ultimo respiro

Parigi. “La barbarie islamista colpisce tutti i simboli dell’occidente. Padre Hamel è un martire della République, continueremo a celebrare la sua memoria”, ha dichiarato questa mattina il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, a cinque anni dalla morte atroce di Jacques Hamel, il parroco di 85 anni sgozzato da due giovani jihadisti sull’altare della chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, in Normandia. Come lo scorso anno, Darmanin ha partecipato alla messa  commemorativa che ha avuto luogo nella parrocchia di padre Hamel, in presenza dell’arcivescovo di Rouen, Mons. Dominique Lebrun, e dei fedeli che ogni domenica si recavano all’église Saint-Étienne per ascoltare l’omelia di questo “uomo fra gli uomini”, che cercava di costruire la pace e “già da piccolo, senza saperlo, era destinato a diventare prete”, secondo le parole della sorella, Roseline Hamel. Il ricordo di quel 26 luglio 2016 è ancora vivo e lacerante nella discreta provincia normanna. “Non abbiamo cambiato nulla. Anche il suo cappello, che gli avevo comprato per le vacanze, è ancora lì”, ha raccontato a Tf1 Roseline Hamel, che continua a prendersi cura dell’abitazione in cui il fratello viveva. Non è sempre facile entrare nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, la morte di Jacques è “una ferita aperta” che non si chiuderà mai definitivamente, dice Roseline. Ma ha provato a lenire questa ferita, decidendo di incontrare la madre di uno dei due terroristi. “Mi sono detta: ‘E se fossi stata la madre di un ragazzo che ha commesso un simile atto di violenza? Quale sarebbe stato il mio dolore?’ Mi sono appropriata di questo dolore. E, a partire da quel momento, ho cercato di incontrarla”. L’incontro aveva un obiettivo ben preciso per Roseline: quello di “gestire assieme il nostro dolore. Penso di aver trovato in questo modo la forza e la strada per resistere”, ha spiegato la sorella di padre Hamel. 

Degli ultimi momenti di vita del sacerdote francese, per cui è aperto il processo di beatificazione, ci è rimasta la preziosa testimonianza scritta dello storico ed esperto di dialogo interreligioso belga Jan De Volder, ripresa ieri dal Figaro: “Martyr, vie et mort du père Jacques Hamel” (Éditions du Cerf). “I due (terroristi, ndr) iniziano una specie di predica davanti all’altare. Risuona ancora la voce turbata di padre Jacques: ‘Ma cosa state facendo? Calmatevi!’. Poi la situazione precipita: uno dei due afferra il fragile prete e gli ordina di inginocchiarsi. Padre Jacques non si arrende, resiste. Un gesto rapido e, mentre prova a proteggersi, il prete riceve una prima coltellata. I fedeli, sconvolti, sentono il suo grido: ‘Vattene Satana! Vattene Satana!’, esclama. Erano parole che venivano dal Vangelo, forse ancora ispirate dalla parabola della zizzania e dei figli di Satana, sicuramente dalla sua preghiera mattutina all’arcangelo Michele. In quel momento, ha visto il Diavolo in persona davanti a lui. Secondo i testimoni, con quelle parole, padre Hamel non ha voluto condannare un uomo, bensì il Diavolo che agiva dentro di lui”, si legge nella ricostruzione minuto per minuto di Jan De Volder.

E’ rimasto devoto alla sua fede fino all’ultimo respiro il parroco di Saint-Étienne-du-Rouvray. Per lo storico del cattolicesimo Guillaume Cuchet, padre Hamel, “con la sua ultima azione, ha indicato il nemico, gesto politico” per eccellenza, ma di politica trascendentale: designare il Nemico nascosto dietro il nemico visibile, aprendo la strada a un’interpretazione demonologica dell’islamismo contemporaneo”.

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