In Ungheria

Orbán e i referendum

Paola Peduzzi

Il premier ungherese vuole una consultazione sulla legge anti lgbt contro la minacciosa Europa. Tanto se poi non vota nessuno può fare come vuole comunque, come ha già fatto con i migranti

Il premier ungherese, Viktor Orbán, ha annunciato un referendum sulla “legge di protezione dei minori”, come continua a chiamarla lui, contestata dalla Commissione europea e dalla stragrande maggioranza dei capi di stato e di governo europei: difenderemo i nostri bambini, ha detto il premier, proprio come cinque anni fa, con un’altra consultazione popolare, abbiamo difeso l’Ungheria dai migranti. Orbán allora disse di voler “mostrare il dito” all’Europa e oggi non dice che a quel referendum non andò a votare nessuno, e che lui rifiutò il sistema delle quote per i migranti pur senza quorum.

  

Il referendum che vuole introdurre Orbán prevede cinque quesiti: siete d’accordo che nelle scuole pubbliche si parli ai minori di argomenti come l’orientamento sessuale senza il consenso dei genitori? Appoggiate la promozione delle procedure  per riassegnare il genere ai minori? Siete d’accordo sul fatto che i trattamenti per la riassegnazione di genere siano disponibili per i minori? Siete d’accordo nel mostrare ai minori, senza alcuna restrizione, contenuti di natura sessuale che possono influenzarne lo sviluppo? Siete d’accordo nel far vedere ai minori contenuti che mostrano la riassegnazione di genere?

 
Il governo ungherese sostiene di essere sotto attacco dall’Unione europea
, “i burocrati di Bruxelles ci minacciano e danno il via a procedure di infrazione ma così abusano del loro potere”, ha detto Orbán in un video su Facebook. In realtà c’è sì una critica (è stata aperta una procedura di infrazione) alla legge sulla diffusione ai minori di contenuti o rappresentazioni in cui si parli di omosessualità, ma non ha nulla a che vedere, per dire, con le valutazioni della Commissione sul Recovery fund ungherese, che presenta dei problemi sulla destinazione dei fondi europei che ha a che fare con il sistema clientelare messo in piedi da Orbán e non con la legge che assimila l’omosessualità alla pedofilia.

  

La versione originale della norma non citava in alcun modo i diritti lgbt: voleva rafforzare le misure punitive contro la pedofilia. La riforma penale sui crimini sessuali contro i minori era diventata una questione politica nel 2020,  con lo scandalo che aveva coinvolto l’ex ambasciatore ungherese in Perù, Gábor Kaleta, trovato dalle autorità internazionali guidate dagli Stati Uniti con circa ventimila foto pornografiche di minori nel proprio computer. L’ambasciatore se la cavò con 1.500 dollari di multa e una sentenza sospesa, ma la riforma era andata avanti nel suo iter parlamentare a Budapest incontrando un  consenso bipartisan.

   

A inizio giugno, qualche giorno prima del voto finale di quella che era ancora chiamata “legge anti pedofilia”  i parlamentari di Fidesz proposero l’introduzione di quattro emendamenti che di fatto vietano di parlare dell’omosessualità al pubblico under 18 (introduce anche una lista di associazioni abilitate dal governo per fare educazione sessuale nelle scuole). La legge passò con il voto di Fidesz, partito di governo, e di Jobbick, partito di estrema destra: il consenso bipartisan era svanito.

   

Il governo ungherese oggi sta cercando di giocare la stessa carta che ha usato in passato su molte questioni, a partire dai migranti: dice che l’Europa minaccia l’Ungheria perché l’Ungheria non vuole sottomettersi alla visione del mondo europeo (e aggiunge che è la visione del mondo di George Soros, cui l’Europa tutta ubbidisce). Il rispetto dello stato di diritto e delle sue regole di base, la separazione dei poteri per esempio, è rivenduto dalla propaganda ungherese come un abuso di potere da parte dell’Ue e come la dimostrazione dell’approccio censorio e illiberale dell’Ue, che per l’Ungheria è come l’Unione sovietica. Il governo di  Orbán vuole che l’Unione europea continui a fare da bancomat, ma non metta becco su nient’altro, non sull’accentramento dei media e la soppressione delle voci dissidenti, non sul sistema di potere creato dal premier, non sulla nomina dei giudici della Corte Suprema, e certo non sul fatto che l’Ungheria sia l’unico paese europeo, per quel che si sa finora, ad aver utilizzato Pegasus per spiare i giornalisti.  Soldi senza valori e senza condizioni insomma, che è quello che l’Unione europea sta decidendo di non fare più, a partire dai 7,2 miliardi di euro previsti dal Recovery plan ungherese.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi