Il fantasma di Abu Ubaida
I portavoce di Hamas e del Jihad islamico danno aggiornamenti in diretta sulla guerra a Gaza ma voi non li avete mai visti perché sono impresentabili e per nulla instagrammabili
Abu Ubaida è il portavoce delle brigate Qassam, quindi dei combattenti del gruppo palestinese Hamas. Abu Hamza è il portavoce del battaglione al Quds, quindi dei combattenti del gruppo palestinese del Jihad islamico. Insieme sono le voci delle due organizzazioni armate più forti della Striscia di Gaza e ogni giorno danno aggiornamenti sui loro canali Telegram. Non è roba di nicchia – Abu Ubaida ha 130 mila follower sul suo canale personale, senza contare che parla ovviamente sui canali ufficiali – anzi è routine quotidiana per tutti i media del mondo che seguono il conflitto in corso. Abu Ubaida e Abu Hamza in questi giorni sono di fatto gli unici rappresentanti dei palestinesi che combattono a Gaza, ma sono assenti dal dibattito quasi globale che si tiene a ogni ora del giorno e della notte su Israele e Palestina. Sono sconosciuti al grande pubblico. Non sono mai citati sui social, che per numeri di contatti e letture sono più forti dei media tradizionali (che invece seguono le notizie per professione e talvolta li citano). Nelle mille “spiegazioni su cosa sta succedendo a Gaza” e nei mille aggiornamenti che ogni giorno si vedono su Facebook, su Instagram, su Tik Tok e altrove i due portavoce ufficiali dello schieramento palestinese non compaiono. E’ come se Abu Ubaida e Abu Hamza non esistessero.
Il perché è chiaro. Sono due individui in mimetica e incappucciati che fanno discorsi jihadisti (“Dio ci darà la vittoria o il martirio”) e si vantano della loro accresciuta capacità di colpire le città israeliane con razzi – e hanno ragione, i due gruppi hanno davvero dimostrato un’efficacia impressionante in questi primi giorni di guerra. Sono impresentabili anche se sono i protagonisti in prima linea di una causa che in questo momento è al massimo della presentabilità. Sono imbarazzanti. Disturbano la convinzione di essere nel giusto. Mancano di fotogenia secondo i nostri canoni. Se qualcuno provasse ad associare quei due agli hashtag più usati come #gazaunderattack o #save_sheikh_jarrah l’effetto sarebbe orrendo e quindi nessuno li associa. La loro stessa esistenza interferisce con la versione che circola sui social e che ormai è maggioritaria: che la guerra sia semplicemente un atto di violenza senza senso deliberato dagli israeliani.
I proclami di Abu Ubaida e di Abu Hamza sono il promemoria permanente e doloroso che sei giorni fa sono state le fazioni della Striscia a lanciare la “Battaglia Spada di Gerusalemme” – come dice la scritta gigante accanto a loro – con l’obiettivo dichiarato di “far pagare il prezzo” agli israeliani. Far pagare il prezzo, come hanno spiegato, per i fatti di Sheikh Jarrah – il quartiere di Gerusalemme est dove otto famiglie palestinesi rischiano di essere espropriate delle proprie case a vantaggio degli israeliani – e per la violenza della polizia israeliana contro i fedeli musulmani riuniti sulla Spianata delle moschee, sempre a Gerusalemme. Ed è qui che non si capisce – perché non si può capire, perché non regge, perché è inaccettabile – la decisione sproporzionata da parte dei gruppi palestinesi della Striscia di cominciare il bombardamento continuo con migliaia di razzi sulle città israeliane. E a quel punto gli israeliani hanno risposto con una campagna di raid aerei su Gaza. E nel resto del mondo, che parla soprattutto sui social, siamo arrivati al paradosso che i protagonisti al centro della storia come Abu Ubaida e Abu Hamza non si vedono quasi. Sono diventati un test di trasparenza: ci si può fidare di una storia o di una spiegazione sulla guerra nella Striscia che non li cita mai?
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