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Facebook riapre la porta a Trump

Daniele Raineri

Entro sei mesi l'azienda deve decidere se bandire per sempre l'ex presidente americano oppure no, dice il comitato interno di saggi. Ma l'orrendo assalto al Congresso scatenato dalla disinformazione social è già dimenticato e c'è aria di ricandidatura per il 2024

Se c’è una data nella quale il pendolo ha cominciato a tornare di nuovo dalla parte di Donald Trump è il 5 maggio. Sono successe due cose. Nella mattinata americana il comitato indipendente che sorveglia le decisioni di Facebook ha detto che l’azienda ha fatto bene a sospendere l’ex presidente americano dalla piattaforma per i fatti del 6 gennaio, quando una folla di trumpiani inferociti assaltò il Congresso. Però, dice il comitato, quella sospensione non può essere a tempo indefinito, dev’essere proporzionata e Facebook da ora in poi deve indicare con chiarezza quali sono i criteri che adotta quando prende le decisioni. Così Facebook (che controlla anche Instagram) va in senso opposto a Twitter, che invece aveva subito bandito a vita e in modo irrevocabile l’ex presidente americano. Il comitato dice a Facebook che la decisione finale a proposito di cosa fare con Trump dev’essere presa entro sei mesi da adesso. Sembra una punizione dura e i repubblicani protestano, ma dal loro punto di vista si tratta di un danno contenuto perché tiene in vita la possibilità che tutto torni come prima. E’ chiaro che in quel caso per Trump si riaprirebbe la porta d’accesso alla sua base di sostenitori e quindi la corsa per la presidenza nel 2024.

 

 

Dopo l’insediamento di Biden, Trump era sparito. Secondo i dati dell’azienda di analisi SocialFlow, l’attenzione che riesce a generare sui social è calata del novantuno per cento e si tratta spesso di attenzione sfavorevole (come nel caso delle recenti perquisizioni a casa del suo consigliere Rudolph Giuliani). L’ex presidente per ora ha tentato con un paio di iniziative blande di riconquistare visibilità – ha aperto un sito e passa ai media comunicati risentiti – ma oggi è  un fantasma rispetto alla capacità di mobilitazione che aveva quando disponeva delle piattaforme social. Ieri ha detto che la sua cancellazione dalle piattaforme social è un’operazione “dei pazzi dell’estrema sinistra” e così ha coniugato una teoria del complotto inventata con una definizione incendiaria. Ha perso visibilità, ma non ha perso il tocco che piace alla base.

 

Il comitato, che molti considerano “la Corte Suprema di Facebook”, spiega nelle motivazioni della decisione che Trump aveva creato un ambiente molto pericoloso perché ha continuato a far credere a milioni di sostenitori che Biden ha rubato le elezioni, anche dopo che era stato stabilito fuor da ogni dubbio dalle sentenze di circa 60 tribunali che il voto è stato regolare. Grazie alla propaganda che ha una risonanza fortissima sulle piattaforme social, Trump ha persuaso i fan che persino il vicepresidente Mike Pence era parte di un complotto per tradirlo e quindi tradire anche gli americani. E anche il giorno dell’assalto il presidente ha continuato a legittimare gli assaltatori, li ha chiamati “patrioti” e “gente speciale” e ha detto loro “vi amo”. Tuttavia, dopo avere riconosciuto questa campagna di disinformazione senza precedenti e rischi enormi, il comitato ricorda che la pena dev’essere proporzionata al fatto commesso – come se non prestare mai più le piattaforme a Trump potesse essere un’esagerazione.

 

In realtà Facebook è stata costretta a prendere misure drastiche durante le elezioni e il 4 novembre chiuse una pagina che stava raccogliendo centinaia di migliaia di adesioni per andare a occupare anche con le armi i seggi dove si contavano i voti. Se fosse successo, le elezioni americane avrebbero corso il rischio di essere invalidate. Questa settimana i giornali americani spiegavano che gli Stati Uniti potrebbero non raggiungere mai l’immunità di gregge, perché in troppi rifiutano il vaccino dopo essersi convinti sui social che è una cosa cattiva. In breve: i danni delle piattaforme social negli Stati Uniti sono ancora molto visibili, ma non c’è molta voglia di fare finta di nulla.

 

Il secondo evento a favore di Trump è che il capo dei repubblicani alla Camera, Steve Scalise, ha detto pubblicamente di appoggiare Elise Stefanik al posto di Liz Cheny, che oggi è presidente della Conferenza repubblicana alla Camera (terza carica dei repubblicani). C’è una manovra in corso per rimpiazzare Cheney, che in questi mese ha fatto da voce ragionevole dei repubblicani, si è esposta contro la setta di QAnon e ha votato a favore dell’impeachment di Trump perché “la Costituzione è più importante dei partiti”. La fazione dei trumpiani che tre mesi fa sembrava tramortita ora vuole mangiarsi di nuovo la fazione dei sani di mente.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)