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Organizzare la speranza

Paola Peduzzi

In America Joe Biden sta fissando un inedito punto di equilibrio tra moderati e populisti di sinistra

Milano. La collaborazione tra Joe Biden e Bernie Sanders ha dato i suoi primi frutti: sei comitati politici per disegnare le priorità del Partito democratico americano in vista delle elezioni del 2020, e oltre. Biden è il candidato presidente dei democratici, Sanders avrebbe voluto esserlo ma non ce l’ha fatta, e da quando si è ritirato dalle primarie ha stretto un’alleanza con Biden: i rappresentanti delle due anime della sinistra, con due visioni per il futuro dell’America e del mondo del tutto diverse (a tratti incompatibili) hanno deciso di provare a costruire un ponte tra loro, un esperimento di unità. Il dialogo tra i due, due volti che condividono lo schermo perché la pandemia ha eliminato i contatti umani, sembrava all’inizio apparenza: i sostenitori di Sanders erano furiosi, si temeva che potesse finire come nel 2016, quando Sanders sconfitto da Hillary Clinton fece un endorsement a denti stretti e nulla più. Invece l’esperimento continua. I sei comitati politici si occuperanno di economia, sistema sanitario, riforma della giustizia, cambiamento climatico, immigrazione e istruzione: 48 parlamentari coinvolti, economisti, giuristi, accademici scelti nei due mondi della sinistra, per trovare una sintesi, forse addirittura un equilibrio. Il negoziato per la formazione di questi comitati è stato condotto dall’ex direttore della campagna elettorale di Sanders, Faiz Shakir, che ha definito Biden “aperto alla discussione e disponibile”: “C’è spazio per rimpolpare l’agenda politica del candidato – ha detto Shakir a Vox.com – visto che molti aspetti non erano stati esplicitati durante le primarie”. Al momento, l’esperimento ha superato anche una fase molto delicata: la scelta delle persone. Nei sei comitati s’è trovato un equilibrio tra esponenti moderati e radicali, la sintesi è il tandem che guida la task force sul clima: Alexandria Ocasio-Cortez, la star dei radicali sandersiani, e John Kerry, ex segretario di stato obamiano.

 

Anche negli altri comitati ritorna questo schema che ha come obiettivo primario quello di congelare i conflitti e aprire il dialogo, e come obiettivo ultimo l’unità di fatto del partito.

 

Com’è che oggi questo esperimento sembra funzionare? I più radicali – che sui giornali americani sono chiamati “progressisti” – sostengono che Biden sia cambiato e che sia molto più a sinistra di quanto si fosse inizialmente (cioè per tutta la sua carriera) posizionato. Ocasio-Cortez, che come si sa ha un peso molto grande sull’umore dell’elettorato più giovane e più di sinistra, aveva detto dopo il ritiro di Sanders: se Biden vuole il mio voto, venga a conquistarselo. La critica più diffusa nei confronti dell’ex vicepresidente era non soltanto che fosse talmente moderato da non sembrare nemmeno di sinistra ma anche che avesse un approccio che guardava al passato e non al futuro, come se volesse restaurare la comfort zone dei democratici prima della tempesta trumpiana. Quella “normalità”, come la chiamavano i radicali, ora non ha più senso, visto che le aspettative sulla normalità sono completamente cambiate. Il New York Times ha approfondito il dibattito sulla restaurazione dell’America, raccontando quello che i dati indicano già da tempo: il baricentro del Partito democratico si è già spostato a sinistra rispetto a soltanto quattro anni fa. Lo stesso Barack Obama, che in questo esperimento ha un ruolo rilevante, quando ha fatto l’endorsement (scontato) a Biden, ha detto: se io fossi candidato oggi, non userei la stessa piattaforma politica del 2008. Un esempio per tutti: quel che pareva radicalissimo, cioè la riforma sanitaria di Sanders, oggi pare quasi necessario, persino per gli architetti dell’Obamacare. Il New York Times fa una sintesi molto interessante, e che farà discutere: “Se prima Biden aveva un messaggio legato alle proprie possibilità di essere eletto (l’unità del partito serviva di fatto a quello, ndr), ora sta adottando uno spezzatino retorico che mischia l’hope di Obama e il populismo di Sanders”. Il ponte che unisce le due anime della sinistra in realtà assomiglia più a una corda sottile su cui Biden ha scelto di incamminarsi sapendo quanto possa essere pericolosa. Deve mobilitare e accogliere i radicali – i giovani continuano a essere parecchio malmostosi nei suoi confronti, dicono i sondaggi – senza alienarsi i voti dei moderati che lo hanno portato al primo posto delle primarie (e molti erano elettori che nel 2016 avevano scelto Trump). Ma nel frattempo ha l’occasione di disegnare una visione per il futuro fissando lui il punto di equilibrio della sinistra americana, molto più di qualsiasi “neverTrump”.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi