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Alle prese con l'Ungheria

Micol Flammini

Se non ripeti la verità del governo, ti arrestano per fake news. Le ultime storie dall’Orbánistan e il “taoismo” dell’Ue

Roma. I trucchi comunicativi del governo di Viktor Orbán sono molti, e “l’assenza di ieri del primo ministro ungherese al Parlamento europeo era uno di questi”, dice al Foglio Anna Júlia Donáth, europarlamentare di Momentum, il partito di opposizione che a Strasburgo siede nei banchi di Renew Europe. Un altro di questi trucchi è stato comunicare a poche ore dalla fine del dibattito tra gli eurodeputati che lo stato di emergenza, adottato per contrastare la crisi sanitaria, finirà probabilmente a giugno. La legge stessa è stata un trucco comunicativo: “A cosa serviva se già Fidesz, il partito di governo, ha i due terzi del Parlamento?”. Ieri in plenaria alcuni eurodeputati hanno chiesto di prendere dei provvedimenti contro Budapest dove in questi giorni non è soltanto a rischio la democrazia. Gli arresti di politici della minoranza sono in aumento, la legge di emergenza si concentra molto sulla punizione di chi diffonde fake news sul virus, e a decidere dov’è la verità e dove la notizia falsa è il governo. Martedì è stato arrestato János Csóka-Szucs, sessantaquattrenne membro anche lui di Momentum, che su Facebook aveva scritto che nell’ospedale della sua città i letti venivano svuotati per ordine del governo, i malati mandati a casa senza cautele e senza preavviso. A casa sua si è presentata la polizia, lo hanno portato via e hanno girato un video che è finito sui social. La pratica è ormai ricorrente, è una gogna, un modo per dire: ecco cosa succede a chi non dice la nostra verità. In un’intervista al sito d’inchiesta 444.hu, Csóka-Szucs ha detto che l’ultima volta che gli era successa una cosa del genere, con meno telecamere attorno, era il 1987, c’erano i comunisti e lui aveva partecipato a una manifestazione non autorizzata. La banalizzazione che l’Ungheria sta facendo del concetto di verità e di falsità fa male al dibattito politico, “i cittadini si fidano dei media statali, è una fiducia difficile da sradicare e così è anche complicato far passare il messaggio dell’opposizione”, dice Donáth, che il comunismo non l’ha vissuto e che si limita a constatare come la politica ungherese sia piena di riferimenti a quell’epoca, usata e reinterpretata a seconda della convenienza.

  

Ma al di là dei simboli e del passato, ora è il futuro dell’Ungheria che preoccupa. Cosa ne sarà della sua democrazia, o cosa ne è stato, e cosa può fare l’Unione europea mentre in uno dei suoi stati membri i cittadini vengono arrestati, e filmati durante l’arresto, per quello che dicono? Alla sessione dell’Europarlamento ieri era presenta anche Vera Jourová, vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza, una delle maggiori sostenitrici di un meccanismo che regoli l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto. Poche ore dopo la plenaria, in un dibattito organizzato dal think tank Bruegel, la Jourová ha ammesso: “Non siamo abbastanza equipaggiati per proteggere lo stato di diritto e i princìpi democratici, e questo è un momento cruciale”. Qualcuno spera che la prima punizione contro l’Ungheria arrivi dal Ppe, la famiglia europea che deve ancora decidere cosa fare con il partito di Orbán, se espellerlo o reintegrarlo – attualmente è sospeso. Nelle mani dell’Unione per ora c’è soltanto l’attivazione dell’Articolo 7 che però, ha ammesso ieri Vera Jourová, è uno strumento debole, “è un po’ come la filosofia taoista in cui l’obiettivo sta nel processo stesso”.

 

Intanto l’Ungheria ha annunciato che alcune misure della quarantena verranno allentate, non ha specificato quali, ma anche questo è un “trucco comunicativo”.

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