Un F18 sulla portaerea americana Harry S. Truman (foto LaPresse)

L'esercito di Trump non è mai stato così debole

Luca Gambardella

Il report di una commissione del Congresso avverte che, se dovessero entrare in guerra oggi contro Russia o Cina, gli Stati Uniti potrebbero essere sconfitti

Le forze armate americane, uno dei pilastri su cui poggia la strategia trumpiana dell’America First, non sono mai state così deboli rispetto ai nemici che potrebbero affrontare e attraversano un momento critico che potrebbe costare agli Stati Uniti la loro superiorità militare a livello mondiale. La Commissione per la Strategia di Difesa nazionale del Congresso ha analizzato il documento programmatico presentato lo scorso gennaio dal segretario alla Difesa, Jim Mattis, che indica le priorità nell’assicurare la sicurezza e la difesa degli interessi americani. E il risultato dello studio dei 12 membri del panel indipendente – formato sia da repubblicani sia da democratici – è preoccupante. “In caso di nuovo conflitto gli Stati Uniti potrebbero soffrire perdite alte e inaccettabili oltre che danni a risorse fondamentali – avverte il report, che si basa su decine di interviste a funzionari del Pentagono e sull’analisi di documenti classificati –. Potremmo faticare a vincere, o forse potremmo perdere, una guerra contro la Cina o contro la Russia”. Soprattutto, la capacità delle truppe americane di proiettarsi in breve tempo su più teatri di guerra rischia di venir meno. Secondo i deputati, “gli Stati Uniti rischiano di essere sopraffatti nel caso in cui dovessero combattere su più fronti contemporaneamente”.

  

 

La Strategia di Difesa nazionale (Nds) presentata dall’Amministrazione Trump doveva essere lo spartiacque per superare le tattiche di “counterinsurgency” – cioè quelle dei combattimenti strada per strada, adatte per fronteggiare il terrorismo – per tornare a concentrarsi su uno scenario in cui a confrontarsi sono eserciti convenzionali. Il cambiamento non è di poco conto e implica una revisione del piano strategico adottato negli ultimi 17 anni dalle forze armate americane, quando il terrorismo internazionale – basti pensare ad al Qaida e allo Stato islamico – e le guerre in Afghanistan e in Iraq erano i fronti principali in cui erano impegnati gli americani.

 

 

Oggi le minacce stanno cambiando: Trump ribadisce di volere abbandonare l’Afghanistan, il Califfato è ridimensionato e, soprattutto, il confronto con la Russia (in Ucraina e nei paesi baltici) e la Cina (nel Mar cinese meridionale) è sempre più esplicito. Da qui la necessità, dice la commissione del Congresso, di tornare a ragionare su uno schema che sembrava superato: quello di un eventuale confronto tra eserciti convenzionali.

  

 

I segnali arrivati finora dalla Casa Bianca però sembrano andare in senso opposto. Mentre Trump rispondeva sprezzante al presidente francese Emmanuel Macron sulla necessità di dare nuovo slancio al sogno di un esercito europeo, ha annunciato un piano di tagli monstre per le forze armate americane: da 733 miliardi di dollari previsti nel 2020, il Pentagono dovrà passare a una spesa di 700 miliardi. Della riduzione delle spese militari rischiano di risentire soprattutto gli alleati europei che fanno ancora affidamento sull’ombrello della Nato a trazione americana. Trump conta di sopperire ai tagli che intende imporre al Pentagono con un aumento delle spese miliari da parte degli eserciti europei, una prospettiva improbabile ad oggi vista la reticenza degli alleati. Eppure, ricorda la commissione del Congresso, “per scoraggiare il revanscismo della Russia, gli Stati Uniti e i suoi alleati della Nato devono ricostruire la loro capacità militare in Europa”. “Se non affronteremo la sfida ora, ce ne pentiremo sicuramente”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.