Carlo di Inghilterra al Royal Edinburgh Military Tattoo al castello di Edinburgo. Foto LaPresse

Carlo d'Inghilterra è cambiato. Ora che compie 70 anni

Cristina Marconi

Dopo aver sbagliato principessa il rospo si fa principe da solo e poi anche re. Il 14 novembre sarà il suo compleanno 

Londra. Carlo ha iniziato la sua lunghissima carriera da principe sbagliando principessa, roba che nessun lettore di favole perdona, soprattutto se hai delle orecchie a sventola seconde solo a quelle di Serge Gainsbourg e rispondi, a braccetto con un’adolescente bionda con le stelle negli occhi, “qualunque cosa significhi amore” a chi ti chiede se le vuoi bene. Poi, per lunghi anni, quando la sua situazione di erede al trono si era ormai cronicizzata, è stato il fedifrago, il figlio poco amato, il marito divorziato che la morte costringe a una vita di penitenza, quello così poco carismatico che si narra di un ospite che, vedendolo passare per i corridoi del palazzo, fece capolino dalla sua stanza e gli chiese di stirargli due camicie. Però, come un rospo che si è fatto principe da solo, ora che sta per compiere settant’anni, Carlo d’Inghilterra è cambiato: viene quasi voglia di vederlo sul trono, quest’uomo che ci tiene a precisare di non essere così “stupido” da pensare di potersi “immischiare” in politica una volta diventato re, come a dire che sarebbe perfettamente in grado di farlo se solo fosse sconsiderato come il protagonista di quella pièce strepitosa che è King Charles III del giovanissimo Mike Bartlett.

    

Nei toni shakespeariani perfettamente resi anche nella versione televisiva della play, dopo la sua incoronazione Carlo si convince di essere diventato un vero sovrano con tutti i poteri del caso e si mette a rompere le scatole al Parlamento sulla libertà di stampa, a litigare con tutti, con Camilla che lo tiene a bada e una Diana gattamorta anche da fantasma che lo visita di notte dicendogli che sarà il più grande re di tutti i tempi e poi fa lo stesso con il figlio William, che invece ha ben capito che la monarchia è solo un serbatoio di immagini e simboli, una tela bianca su cui lasciare che la nazione proietti un po’ quello che le pare.

    

Carlo è questo, attivismo e voglia di intromettersi, soprattutto per quanto riguarda i suoi amati temi ambientali, difesi quando ancora la cosa era tutt’altro che di moda. Gli scivoloni su questioni come l’omeopatia e gli ogm ci sono stati, ma nel Regno Unito la comunità scientifica ha dimostrato di avere i riflessi pronti quando si tratta di mettere a posto i ciarlatani e chi li difende, per quanto sia altolocato. Carlo ha provato anche a intervenire in materia di architettura e di istruzione pubblica, ma la verità è che il suo Prince’s Trust è servito soprattutto a dare opportunità ai giovani meno fortunati, e per questo resterà famoso. Circondato da alcune delle donne più ingombranti del mondo, Carlo è un sopravvissuto, uno che rischia di arrivare al traguardo tanto atteso con troppi anni sulle spalle, eppure ci arriva con solidità, sposato alla donna che ha sempre amato – pare che alle nozze la regina abbia scelto una metafora equestre per dire che “la coppia è ora sullo stesso rettilineo, nel recinto dei vincitori”, manco fossero Varenne e Ribot – e forte di una reputazione da padre affettuoso e premuroso, pronto ad accogliere la nuora Meghan lungo la navata della chiesa nel giorno del suo matrimonio, aprendo le porte alla prima royal di colore (siamo nel mondo dei simboli, queste cose sono importanti in una famiglia in cui gira ancora gente con le spille degli schiavi neri di epoca coloniale).

  

Qualcuno sostiene che tutto questo radicalismo non debba essere sacrificato: ad esempio potrebbe indicare quando intende abdicare, in modo da non sottoporre William alla stessa tortura da lui vissuta, e che potrebbe traghettare la monarchia verso un futuro ancora molto indefinito. Da principe un po’ stagionato a re reggente, sicuro di aver fatto il possibile, amato nonostante i suoi difetti. Re Carlo, perché no.

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