Cyril Ramaphosa (foto LaPresse)

Chi è l'uomo d'affari che ha posto fine al dominio di Zuma in Sudafrica

Maurizio Stefanini

Cyril Ramaphosa, ex vicepresidente, ha battuto la moglie di Zuma per la leadership del partito, e può essere definito come prossimo presidente in pectore

Roma. Sarà Cyril Ramaphosa il nuovo leader che cercherà di portare un African National Congress piuttosto logorato alla vittoria nel 2019, diventando così il quinto presidente del Sudafrica post Apartheid dopo Nelson Mandela, Thabo Mbeki, Kgalema Motlanthe e Jacob Zuma. Dopo una interminabile assemblea che era iniziata sabato e che avrebbe dovuto selezionare il presidente del partito entro domenica mattina, i 5.000 delegati lo hanno infine prescelto nella tarda sera del lunedì. Sette erano i candidati, ma il testa a testa è stato con Nkosazana Dlamini-Zuma: ex moglie del presidente Zuma, più volte ministro ed ex presidente della Commissione dell’Unione Africana. 2.440 voti per Ramaphosa, 2.261 per Nkosazana Dlamini-Zuma danno in effetti l’idea di quanto sia stata laboriosa e tormentata questa scelta. La sua scelta come leader dell'Anc ne fa il frontrunner alle prossime elezioni nel paese – e viste le percentuali importanti da sempre conquistate dal partito si può dire che Ramaphosa da oggi è il presidente in pectore.

  

Negli ultimi anni il consenso popolare del grande partito sudafricano in realtà è molto calato. Un po’ per la naturale usura dal potere, in una forza politica che governa dal 1994. Un po’ perché il Sudafrica non si è ancora del tutto ripreso dalla crisi economica cominciata nel 2008. Un po’ perché Zuma è stato coinvolto in una serie di scandali che lo rende ormai impresentabile. Il 54 per cento dei consensi che l’Anc ha preso alle amministrative dell’anno scorso è il suo peggior risultato di sempre, anche se l’opposizione è divisa tra i liberali della Democratic Alliance e i radicali degli Economic Freedom Fighters di Julius Malema: già leader dei giovani dell’Anc poi ribellatosi.

  

Ramaphosa, attuale vicepresidente e ricco uomo d’affari, è invece il candidato della tranquillità, oltre che un uomo per tutte e stagioni. Classe 1952, nella prima fase della sua vita fu un popolare leader sindacale. Nel 1987 guidò il grande sciopero di cui si disse che “iniziò la fine dell’Apartheid”, e nel 1991 divenne segretario dell’Anc. Ma poi quando l’Anc andò al potere fu un protagonista del Black Empowerment: il progetto per far affezionare i neri al capitalismo attraverso lo sviluppo di una imprenditoria di colore che scongiurasse le tentazioni anti capitaliste che pure nel dna dell’Anc erano fortissime. In particolare fu nel 1996 quando il colosso minerario Anglo American decise di mettere in vendita “ai neri” la Johnnic; un conglomerato ricavato dai suoi asset per acquistare il quale si formò un consorzio. Stato e sindacati offrirono 1,8 miliardi di dollari per compiere l’operazione, e Ramaphosa si mise alla presidenza di quel consorzio.

 

Ma nel 2014 è tornato in politica, dopo che il potere dell’Anc era stato sfidato da un’ondata di rivolte di minatori e vignaioli. Ed è diventato vicepresidente, in nome di una nuova imprenditoria nera che ha deciso di scendere in campo. Adesso, la sua sfida diventa ancora più compiuta.

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