Sebastian Kurz (foto LaPresse)

Cosa succede dopo il voto in Austria

Paola Peduzzi

Il millennial Kurz deve mostrarsi abile nell’arte del negoziato. Tre spunti e un po’ di puntiglio sui dati

Milano. Un millennial conservatore, Sebastian Kurz, diventerà con tutta probabilità il cancelliere austriaco: il suo partito, l’Övp, ha vinto le elezioni di domenica, con quasi il 32 per cento dei voti e un incremento di consensi dell’8 per cento circa. Kurz, il trentunenne ragazzo magico della politica austriaca, sarà il più giovane leader del mondo – i giornali sono zeppi di commenti sulla giovane età, sull’università lasciata per entrare in politica, sull’ascesa straordinaria, sulla fidanzata che sembra una ragazzina – e dovrà cimentarsi, come prima incombenza, nella formazione del governo.

 

In questo 2017 costellato di molti appuntamenti elettorali, in ogni urna abbiamo cercato di capire lo stato di salute dell’Europa, dopo il trauma della Brexit e quello dall’altra parte dell’Atlantico di Donald Trump. Il voto austriaco non fa eccezione, e come primo elemento bisogna sottolineare che la capacità di formare governi stabili e credibili è tornata a essere un’arte essenziale. Gli olandesi, che hanno votato a marzo, faranno il governo la settimana prossima; i tedeschi, che hanno votato a settembre, hanno appena iniziato i colloqui: secondo le indiscrezioni, sono coinvolti più di cinquanta negoziatori, per provare a formare la coalizione Giamaica, con conservatori, liberali e verdi; Theresa May, premier britannico, a giugno si trovò costretta a fare un accordo con il partito nordirlandese Dup senza il quale non aveva più la maggioranza parlamentare: l’effetto di questo patto ha ripercussioni sul negoziato-madre che monopolizza l’Europa: quello della Brexit. Ora tocca anche all’Austria: stando ai numeri, con tutta probabilità il presidente, il verde Alexander Van der Bellen, che nell’autunno dello scorso anno regalò la prima buona notizia antipopulista del 2016 arginando l’avanzata del candidato antieuropeo populista, darà il mandato di formare il governo a Kurz. E con tutta probabilità il primo interlocutore del giovane conservatore sarà proprio il partito populista Fpö, che ha ottenuto un ottimo risultato al voto.

 

Secondo gli ultimi conteggi elettorali – che comprendono i voti postali – l’Fpö di Heinz-Christian Strache sono arrivati terzi, sorpassati di un soffio dai socialdemocratici dell’Spö. Nel testa a testa tra i due partiti c’è un sunto della politica austriaca e un po’ di quella europea: la grande coalizione socialdemocratici-conservatori che ha guidato il paese nell’ultimo decennio ha ottenuto nel complesso più voti rispetto all’ultima tornata elettorale. L’Övp è andato benissimo, ma l’Spö ha tenuto, sventando quella catastrofe elettorale che molti davano per certa. Però non si può interpretare il dato complessivo come una conferma di fiducia degli austriaci nei confronti della grande coalizione: la campagna elettorale è stata brutale tra i due partiti che già vivevano una coabitazione scomodissima e che per mesi hanno sottolineato le loro inconciliabilità. Semmai entrambi, anche i socialdemocratici proprio domenica, hanno aperto alla possibilità di governare con l’Fpö. I populisti dunque: l’elezione conferma la forza di questo partito, il risultato è leggermente più basso di quello ottenuto nel 1999 (allora c’era Jörg Haider che andò al governo con i conservatori e ci restò sette anni) ed è molto più basso di quello che l’aspirante presidente Norbert Hofer prese al primo turno delle presidenziali l’anno scorso (il 35 per cento). I flussi elettorali mostrano però una tendenza: i conservatori hanno preso voti all’Fpö, l’Fpö ha preso voti ai socialdemocratici, che hanno preso voti dai Verdi, che sono gli sconfitti di questa tornata elettorale, e non superano la soglia di sbarramento.

 

Ora il “Wunderwuzzi” Kurz deve prima di tutto badare che l’Spö non lo scavalchi nei negoziati con i populisti – anche se tecnicamente è il presidente che dà il mandato delle esplorazioni. Poi Kurz deve badare all’Fpö stesso che, all’inizio degli anni Duemila finì per subire il potere dei popolari più che influenzarlo, si divise al suo interno e per molto tempo restò non irrilevante, ma quasi. Ora invece, forte dell’ondata populista che all’Europa fa sempre un effetto paralizzante e approfittando della (presunta) inesperienza di Kurz, l’Fpö punta già a tre ministeri – l’Interno, la Giustizia e gli Esteri, con lo stesso Nobert Hofer – e a costringere l’Övp a una politica intransigente in Europa (il governo polacco ha festeggiato il “nuovo alleato austriaco” nella lotta a Berlino e alla politica di apertura all’immigrazione, e tutto il gruppo Visegrad gongola). Kurz è già un falco sulla questione dei migranti, al punto che c’è chi dice che abbia già di fatto assimilato l’Fpö. Ma gli spazi all’estremo sono ampi, ci sono vari livelli di chiusura, e i commentatori inglesi fanno un paragone che potrebbe rivelarsi calzante: Kurz sta all’Fpö come David Cameron, ex premier inglese, stava ai conservatori euroscettici. Sotto pressione, si possono fare errori irrimediabili.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi