Tra spionaggio e business, sono anni che Pyongyang ci frega sulle sanzioni

Giulia Pompili

La connection tra Corea del Nord e Ucraina risponderebbe a una delle domande che riguarda la capacità del regime di Kim Jong-un di sviluppare armamenti nucleari e missilistici sofisticati nonostante l'isolamento

Roma. Il New York Times ha pubblicato ieri un articolo su una possibile connection tra il missile balistico intercontinentale nordcoreano – quello testato per la prima volta il 4 luglio scorso – e un paese a settemila chilometri a ovest, l’Ucraina. L’articolo riprende uno studio di Michael Elleman, senior fellow dell’International institute for Strategic studies, che analizzando le immagini degli ultimi esperimenti nordcoreani avrebbe trovato quello che definisce “il segreto del successo degli ultimi test missilistici”. Qual è? Un motore a propellente liquido ad alte prestazioni, di un tipo legato, per esclusione, alla produzione di “pochi impianti sovietici”. Tra questi, gli occhi di Elleman si sono concentrati su un industria missilistica in Ucraina chiamata Dnipro, che sei anni fa era stata oggetto di un furto di proprietà intellettuali proprio da parte di nordcoreani. La Dinpro produceva soprattutto per Mosca, ma dopo la guerra era caduta in disgrazia. Il New York Times non ha trovato conferme alla supposizione di Elleman, ma è opinione diffusa credere che senza un aiutino esterno, Pyongyang non potrebbe aver avuto un missile balistico intercontinentale in così breve tempo.

 

La connection tra Pyongyang e Kiev, soprattutto, risponderebbe a una delle domande che ci facciamo più spesso con la Corea del nord, e che riguarda la sua capacità di sviluppare armamenti nucleari e missilistici sofisticati nonostante l'isolamento. Un’economia socialista, che non ha rapporti commerciali se non con la Cina, e che viene colpita periodicamente da catastrofi naturali – per esempio la siccità, dovuta anche a un sistema agricolo fermo al secolo scorso, e che a sua volta provoca enormi carestie sin dalla metà degli anni Novanta – come fa ad avere i fondi da dedicare a un sofisticato programma missilistico e nucleare? La tenuta di un regime è direttamente proporzionale alla capacità di tenere sotto controllo la popolazione, e una popolazione messa alla fame difficilmente sostiene i suoi leader. Nel caso della Corea del nord, però, non funziona così. Da un lato, l’economia nordcoreana cresce: secondo gli ultimi dati diffusi dalla Banca centrale di Seul, il pil della Corea del nord è cresciuto del 3,9 per cento nel 2016 rispetto all’anno precedente, il miglior risultato sin dal 1999 (quando fece +6,1 per cento). Vero è che il 2016 è un anno particolare: i dati sono influenzati dalla chiusura del complesso industriale di Kaesong – quello congiunto con la Corea del sud, fermato nel febbraio del 2016 – ma non dal blocco totale delle importazioni di carbone da parte della Cina. Ci dice però una cosa: ci sono altri settori grazie ai quali Pyongyang riesce a crescere, come la manodopera inviata all’estero, il manifatturiero, e soprattutto a sopravvivere grazie al mercato nero.

 

Se l’economia reale in crescita ha dunque una sua spiegazione, l’accelerazione del programma nucleare e missilistico – un settore che ha bisogno di costosissime tecnologie per evolversi – è un grande mistero. O meglio, il fatto che Pyongyang sia riuscita ad avere un missile balistico intercontinentale e la capacità di miniaturizzare le testate nucleari ha una sola spiegazione: il mercato internazionale sommerso. Sin dal 2006, anno del primo test atomico di Pyongyang, il regime è tra i più sanzionati al mondo, sia dai singoli paesi sia dalle Nazioni Unite. Tra i primi provvedimenti adottati da pressoché l'intera comunità internazionale, compresa l'Unione Europea, oltre al divieto di commerciare in armamenti c'è il controllo di ogni cargo diretto o proveniente dalla Corea del nord. In teoria, da undici anni, non c’è uno spillo che si muova verso Pyongyang che non sia prima autorizzato. E sempre in teoria, il paese è tra i più monitorati dalla comunità d’intelligence internazionale. Le sanzioni funzionano soprattutto come risposta politica alle provocazioni: Kim Jong-un minaccia di farci saltare in aria, e noi lo sanzioniamo. Dunque la fase in cui si approvano le sanzioni è sempre mediatica, ma l’altra, quella di verifica dell’efficacia delle sanzioni, sempre meno. Periodicamente, un panel di esperti dell’Onu elabora dei report proprio sul reale impatto delle sanzioni economiche sugli armamenti nucleari. Quasi sempre sono report impietosi. Sin dal 2015 si fa notare come “diplomatici, funzionari e rappresentanti di commercio nordcoreani hanno giocato un ruolo chiave nel traffico delle armi illegali e di missili e spesso sono stati coinvolti anche in trasferimenti di fondi illegali”. L’ultimo dossier datato 27 febbraio 2017 spiega come, dopo l’ultimo pacchetto di sanzioni dell’Onu del 2016, la Corea del nord abbia continuato a eludere le sanzioni con schemi sempre più sofisticati e difficilmente rintracciabili. Anche comprando armamenti.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.